I borghi del Giro d’Italia – Tappa 19
Morbegno – Asti
251 km
(RIDOTTA CON PARTENZA DA ABBIATEGRASSO)
È la tappa della vergogna. Oggi si è mancato di rispetto al Giro d’Italia e a chi lo ha organizzato in sicurezza con passione e la volontà ferrea di arrivare fino alla ventunesima tappa a Milano, anche per dare un segnale di ripresa all’Italia nell’era oscura del Covidassiano.
L’immotivata rivolta dei ciclisti (ma quanti erano davvero?), o forse motivata per gli interessi di qualcuno che ha sobillato altri, ha portato a una riduzione del percorso. «Troppo freddo e troppa pioggia», ma non c’erano le condizioni estreme previste dal regolamento UCI per l’interruzione o l’accorciamento della tappa. Al Processo alla Tappa Mauro Vegni, direttore del Giro d’Italia, ha parlato di «agguato» a pochi minuti dalla partenza di Morbegno.
Si rivoltano nella tomba i campioni storici di un ciclismo d’altri tempi, primo fra tutti Fausto Coppi, che correvano su bici preistoriche lungo lo sterrato senza ammiraglia dietro, con sopra le spalle il palmer di ricambio. Di certo se ne sarebbero andati in fuga, senza dare ascolto a quel farneticare ambiguo.
Quindi, una passerella di 10 km., e poi tutti sui pullman fino ad Abbiategrasso, che dal chilometro 133.1 diventa il nuovo punto 0.
Meglio andare per borghi che applaudire a una vittoria falsata e al ciclista in maglia rosa da ieri, conquistata in modo risicato e con le energie a lumicino, che si è dimostrato così entusiasta della decisione tanto da far sorgere più di un dubbio. E poi a chi sarebbe convenuto a due tappe dalla fine? Chi c’è dietro a questo «colpo di Giro»?
Non i corridori che erano contrari, non i comuni tutti festanti in rosa in attesa del passaggio che sono stati saltati all’ultimo momento, e pensiamo a quanto potesse essere preziosa quella visibilità per quei piccoli borghi sul percorso. E che dire dei tanti tifosi che hanno sacrificato tempo e impegni personali per essere ai bordi delle strade a omaggiare il Giro con i loro applausi?
Meglio andare per la bella Lomellina, detta «la piccola Loira». Per dar ragione al suo appellativo ci fermiamo a Sartirana Lomellina, dove troviamo uno dei più grandi castelli medievali, con pianta quadrangolare, fossato circostante, cortile interno, torri angolari e un torrione cilindrico, pregevoli decorazioni rinascimentali, quali affreschi, ferri battuti e finestre in cotto. Fu costruito nell’ultimo quarto del XIV secolo per ordine di Gian Galeazzo Visconti e già alla fine del Trecento, Sartirana era chiamata «Terra Forte» per il castello che molto richiama quello Sforzesco di Milano. Venne rafforzato nella seconda metà del XV secolo dai Sforza e nel XVI fu trasformato in residenza dalla famiglia Gattinara.
Dal 1980 il castello è sede delle collezioni del Centro Studi della Lomellina, mentre dal 1993 è sede della Fondazione Sartirana Arte.
Vi sono ospitati numerosi musei. Il Museo per gli Argenti Contemporanei (MAC) comprende 300 pezzi realizzati dal 1970 ad oggi su progetti di designer italiani. Il Museo per l’Oreficeria Contemporanea (MOC) è degno di nota con un centinaio di pezzi di gioielli creati da artigiani italiani di varie zone. il Museo per le Arti Tessili (MAT) conserva reperti di arte tessile regionale, oggetti di origine europea ed extraeuropea e un’esposizione di tappeti anatolici concessa in deposito temporaneo.
Il Museo per l’Arte Grafica (MAG) espone incisioni, litografie e serigrafie di artisti italiani dal 1950 ad oggi, per concessione dell’archivio della Stamperia 2RC di Roma. La sezione di Arte Contemporanea ospita collezioni di artisti come Fausto Melotti, Emilio Vedova, Alberto Ghinzani, Mauro Staccioli e altri. Nel Museo per l’Architettura, le Arti Decorative e il Design si trovano collezioni di vetri di Murano di artisti contemporanei, ceramiche, mobili e arredi. Il Museo per la Fotografia ha opere di Mulas, Gastel, Cristiani, Reitano, mentre il Museo storico dello Sport espone opere di Ottorino Mancioli. D’importanza considerevole è il Museo della Moda con collezioni di abiti d’importanti stilisti italiani dal 1950 ad oggi.
Gli edifici adiacenti rappresentano un complesso di corte rurale tipica a ferro di cavallo, la Pila del castello. La parte iniziale risale alla fine del XVII secolo, quando la coltivazione del riso divenne importante risorsa economica della Lomellina. Nelle grandi sale con volta a botte e a crociera si custodivano le granaglie dopo la mietitura.
La parte mediana è ottocentesca ed è provvista di un mulino ad acqua con rotore orizzontale, mosso dalle acque deviate dal quattrocentesco Roggione di Sartirana. Il ciclo della pilatura (da cui il nome del complesso di edifici agricoli) rimase attivo fino alla fine degli anni ’60. Oggi, conservato nelle sue strutture principali costituisce il nucleo più importante del Museo Etnografico della Lomellina con utensili tipici del mondo contadino compresi tra il XVII e il XX secolo, esposizioni di antiquariato e modernariato e una mostra permanente dedicata allo stilista Ken Scott.
In quest’area della provincia di Pavia pare che ogni castello e pieve possiedano una leggenda di cunicoli sotterranei. Si narra che l’abbazia di San Pietro di Breme, uno dei centri spirituali più importanti del territorio, fosse collegata da un lungo percorso sotterraneo al castello di Sartirana.
Altri tesori storici si possono trovare sul suolo di Sartirana, ma non vanno dimenticati quelli naturali. Il comune fa parte dell’Ecomuseo del Paesaggio Lomellino e gestisce una delle garzaie più interessanti della Lomellina attorno al Lago di Sartirana, una lanca creata dalla separazione di un’ansa di meandro del fiume Sesia che è stata riconosciuta come Monumento Naturale Regionale dal 1996. Al suo interno ospita un alto numero di specie vegetali, alcune endemiche e altre molto rare, tra cui il nannufaro della famiglia delle ninfee dal fiore giallo, il salice o salicone e la canna di palude, tre tipi di pioppo (nero, bianco e tremulo), l’ontano, l’olmo, la quercia e arbusti come il sanguinello e il nocciolo. Altra garzaia presente sul territorio comunale è la Garzaia del Bosco Basso.
Una curiosità riguarda Casa Savoia. Il Duca Amedeo d’Aosta ha soggiornato a lungo a Sartirana, mentre ora ci vive tutto l’anno il nipote Martin Karl Amadeus d’Autriche-Este con la sua famiglia che gestisce l’azienda agricola della Casa Ducale.
Dalla terra del riso alla terra del vino, il Monferrato, altro patrimonio UNESCO. Prima attraversiamo l’alessandrino e poi l’astigiano per raggiungere Rocchetta Tanaro che si sviluppa sulla sponda destra del fiume Tanaro nell’Alto Monferrato ed è noto per la coltivazione della vite, la produzione e commercializzazione del Barbera e Grignolino. Nelle cantine del Castello dei Marchesi Incisa della Rocchetta si sono prodotti i vini dei marchesi per secoli, ma dal 1994 la produzione si è trasferita nell’antica proprietà di famiglia La Corte Chiusa. Dell’antico castello restano una torre cilindrica e parti della costruzione.
Nel borgo sono presenti due musei ospitati nella Fattoria Roceta. Al primo piano, nell’ala sud, c’è il Museo del Tanaro e delle contadinerie che presenta la ricostruzione di alcuni ambienti di vita contadina tipicamente rocchettese, come la scuola di ricamo “punto Bandera”, l’aula scolastica, la cucina e la raccolta di attrezzi agricoli e per la pesca sul Tanaro nei primi decenni del ’900. È gestito dai ragazzi della Consulta Giovanile.
Nel salone “Giacomo Bologna-Braida” ha sede l’originale Museo delle etichette dei vini che guida il visitatore alla scoperta dei migliori vini nazionali attraverso la loro veste grafica.
L’arte contemporanea è rappresentata da due installazioni tra i vigneti di frazione Asinara. Le matite dell’artista alessandrino Aldo Divano sono in legno, di dimensioni gigantesche e colorate.
Svoltando ancora a destra al bivio successivo alla frazione si trova Ferro del mare Padano nr. 6 dell’artista astigiano Sergio Omedè, la sesta della serie di installazioni atte alla valorizzazione del paesaggio e della sua storia.
Anche qui la natura è stata istituzionalizzata per meglio valorizzare la sua peculiarità. È presente dal 1980 il Parco Naturale Regionale di Rocchetta Tanaro con un’estensione di 123 ha.
Parte della superficie del parco è rappresentato dal bosco, un querceto misto con dominanza di rovere e farnia, insieme a roverella e cerro. Lo studio della vegetazione del parco è risultato della massima importanza per la ricostruzione dell’aspetto forestale originario del bacino Astiano.
Significativa è la presenza del grande faggio (detto «Faggio Emilio») della Val du Gè («Valle del Gelo»), un esemplare ultrasecolare alto più di 25 m, e con un diametro della chioma intorno ai 20 m. che cresce alla quota minima per il Piemonte (130 m.), e rappresenta un ricordo delle faggete al termine dell’ultimo periodo glaciale.
Nel sottobosco erbaceo si sviluppano specie interessanti come le Orchidee, il Mughetto, il Sigillo di Salomone, il Dente di cane, il Lilioasfodelo, il Giglio di San Giovanni ed il Campanellino.
Il bosco è abitato da numerose specie faunistiche, come lo scoiattolo, il riccio, la donnola, il moscardino e il tasso, scelto come simbolo del parco. L’avifauna conta una quarantina di specie nidificanti, tra cui il raro picchio rosso minore, il picchio muratore, il rampichino, il luì verde, l’airone.
Sul territorio comunale è presente anche la Riserva Naturale Integrale Il Verneto, un’oasi WWF di 4 ha creata nel 1997, un bosco planiziale puro di ontani neri che è relitto della flora su un paleoalveo del Tanaro documentato fin dall’anno 1100 circa. Questo è un tipo di ambiente praticamente scomparso nella pianura padana e tutelato nella direttiva Habitat 2000 dell’Unione Europea.
Il terreno intriso d’acqua o in parte allagato ospita un sottobosco costituito da una distesa di carici, giunchi ed equiseti. Qui, vivono mammiferi come il moscardino, il ghiro, il toporagno, e tra gli uccelli tre specie di picchio (muraiolo, rosso maggiore e verde), il migliarino di palude, lo scricciolo, mentre tra gli anfibi spiccano il tritone comune e quello crestato. L’entomofauna è rilevante con una grande quantità di specie di libellule e specie notevoli di coleotteri carabidi.
Nella chiesa parrocchiale di Santo Stefano una lapide ricorda il salesiano mons. Giuseppe Fagnano (1844-1916), missionario esploratore della Patagonia e Terra del Fuoco che è sepolto nella cattedrale di Punta Arenas. È stato dato il suo nome al più grande lago della Terra del Fuoco, e la sua prima Missione in Terra del Fuoco è stata dichiarata dalla legge argentina Monumento storico di interesse nazionale.
Una quindicina di chilometri e si giunge all’arrivo, almeno questo invariato, di Asti.
Adriana Maria Soldini
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