I borghi del Giro d'ItaliaL'Italia dei borghi

I borghi del Giro d’Italia – Tappa 14

Conegliano – Valdobbiadene (Prosecco Superiore Wine Stage) TISSOT ITT
34.1 km

Seconda cronometro individuale del Giro dopo la prima alla tappa d’esordio vinta a oltre 100 all’ora dal quattro volte campione mondiale Filippo Ganna, detto Top Ganna con una bici-gioiello da 25.000 euro. Rispetto alla prima questa crono è lunga il doppio e più impegnativa.

In questi poco più di 34 Km. di percorso nel trevigiano abbiamo individuato i consueti due borghi con meno di 6.000 abitanti, uno di seguito all’altro.

A 7,400 km dalla partenza di Conegliano i ciclisti si trovano ad affrontare il Muro di Ca’ del Poggio, la splendida salita di via Pascoli del comune di San Pietro di Feletto con una pendenza che arriva al 20%. Il 24 aprile 2010, ha assunto ufficialmente questo nome con cui è conosciuta nel mondo del ciclismo, dopo il Giro d’Italia 2009. La salita simbolo delle terre del Prosecco ha avuto come padrino per il suo battesimo Paolo Bettini, che in carriera ha conquistato il trio di titoli di Campione del Mondo-d’Italia-olimpionico. Dal 2016 il muro è gemellato con il Muro di Grammont, lo strappo del Giro delle Fiandre, e dal 2018 anche con il Mûr-de-Bretagne.

Collocato a ridosso della dorsale pedemontana il borgo di San Pietro di Feletto è attraversato dalla Strada del vino bianco, nota anche come Strada del Prosecco e dei vini dei colli di Conegliano-Valdobbiadene e le sue cantine sono tra le più rinomate della zona. Nel 1431 il doge di Venezia Francesco Foscari faceva già cenno in una epistola al «buon vino del Feletto». Qui, predomina la produzione del Prosecco, vino celebre in tutto il mondo, che dal 1° aprile 2010 si fregia del marchio D.O.C.G. In suo onore il nome della quattordicesima tappa del Giro rosa 2020 è Prosecco Superiore Wine Stage, più semplicemente detta «tappa del vino». Dallo scorso anno le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene sono diventate il 55° sito italiano Unesco.

Feletto deriva dal latino felix-icis, luogo dove abbondano le felci. Un tempo la zona era ricoperta da boschi ricchi di felci e di piante d’alto fusto, come aceri, betulle, castani, faggi, ontani e roveri, che erano riservati all’arsenale di Venezia.

La storia di questo territorio vitivinicolo iniziò con il cristianesimo verso il IV-V secolo, quando venne eretta la pieve di San Pietro Apostolo, forse sorta sulle fondamenta di un tempio pagano. Tra le più antiche e preziose della zona la chiesa è posta su un’altura con vista mozzafiato ed è introdotta da una gradinata centrale del XIX secolo che conduce al portico, dove un tempo avvenivano incontri politici, economici e religiosi.

Sono presenti splendidi affreschi e il più singolare è il trecentesco Cristo della Domenica. Manda il chiaro messaggio che di domenica non si lavora, chi lavora nel giorno del Signore ferisce Cristo che è rappresentato sanguinante, colpito dagli attrezzi usuali per le genti delle colline del circondario. All’interno lo spazio è suddiviso in tre strette navate separate da arcate a tutto sesto su grossi pilastri rettangolari. Spicca la cappella di San Sebastiano, che ha al suo interno la fonte battesimale. Le pareti sono interamente decorate da affreschi che illustrano la vita e il martirio del santo, e risalgono a dopo il 1471 per volontà testamentaria del piovano di allora.

Ma anche la navata centrale risulta riccamente affrescata con opere di vari autori e d’ispirazione bizantina (XIII-XV secolo): sui muri a destra, Sansone e i dodici articoli del Credo apostolico; a sinistra, alcuni santi, l’Annunciazione e l’Adorazione dei Magi. Dall’abside semicircolare domina il Cristo pantocratore, attorniato dagli apostoli. Sulla controfacciata persistono tracce del Giudizio Universale. Il settecentesco altare maggiore è barocco, un modello che si ritrova assai simile nelle chiese venete. Svetta isolato il campanile in stile romanico sul modello di quello di Aquileia, ma la cuspide è del XVI secolo.

L’altro luogo simbolo del paese è l’ex eremo camaldolese in frazione Rua, sul colle Capriolo. L’eremo sorse per volere del patrizio Alvise Canal, figlio del procuratore di San Marco, che nel 1665 donò l’area alla Compagnia degli Eremiti di S. Romualdo, camaldolesi di Monte Corona. Il complesso, racchiuso da una cinta muraria, si componeva di 14 celle e di varie dipendenze, officine, servizi, oratori.

Pensate come piccole casette le celle erano state progettate con una camera per il riposo e lo studio, una cappella con altare e una legnaia; all’esterno un piccolo orto, l’Hortus conclusus (dal latino «orto recintato»), una zona verde circondata da alte mura, dove gli eremiti coltivavano piante e alberi per la loro sopravvivenza.

Alla loro costruzione contribuirono anche personaggi illustri, porporati e nobili. Le prime quattro sono state costruite da Canal, per le altre si possono citare Giacomo Monari da Ceneda, il Cardinale di Padova, il Vescovo di Ceneda, i nobili di Conegliano Sarcinelli e Montalban.

Attualmente restano quattro celle e il corpo centrale di origine cinquecentesca. Nel 1876 parte dell’Eremo fu acquistato dal Comune, che fece del palazzo la sua sede. L’ex canonica negli anni Settanta divenne scuola media, mentre la cella accanto al campanile venne adibita a ufficio postale (1932).

Un paio di chilometri e si giunge a Refrontolo, posto alla sinistra del fiume Piave in un belvedere collinare.

Anticamente denominato Ronco Frontulo, pare composto da due nomi di origine latina, roncum (luogo disboscato, dissodato) e frontulum (indicazione topografica che fa riferimento ad una zona boschiva), che insieme significherebbero «villaggio tra i boschi». Il primo documento che parla di Refrontolo data 1075, ma il nome attuale lo si trova solo in documenti del 1540.

Nell’abitato emerge l’eleganza di villa Spada, ora in parte in uso al comune. Venne costruita dalla famiglia Marzer nella seconda metà del Seicento, che corrisponde al corpo di fabbrica a «L» sul lato nord-est della corte. Fu completata nel tardo Ottocento, periodo in cui passò agli Spada. A questo secolo corrisponde la costruzione dell’edificio oggetto di donazione, con impianto in parte simmetrico e unito ad angolo retto al corpo seicentesco; una seconda fase, sempre ottocentesca, ha dato luogo all’erezione di altri corpi di fabbrica verso est.

Nel primo Novecento era una residenza signorile, conosciuta con il nome di «villa Antonietta», dotata di parco-giardino, sala delle biciclette, sala scherma, oratorio privato, rimessa delle carrozze. Le scuderie erano collocate presso l’attuale fabbricato Meneghetti.

Vicino alla chiesa di Santa Margherita c’è la Barchessa su due piani, che fa parte del complesso ed è stata restaurata nel tardo Ottocento.

Nella valle del Lierza, a 2 km. dal paese, si trova il delizioso Molinetto della Croda, uno degli angoli più pittoreschi della Marca Trevigiana. Si tratta di un’architettura rurale secentesca costruita in più riprese che malgrado i diversi rimaneggiamenti nei secoli ha sempre assolto il suo ruolo di mulino.

La struttura primitiva fonda sulla nuda roccia, detta «croda» della montagna, da cui ha preso il nome. Dalla roccia un salto d’acqua di 12 m. permette alla ruota del mulino di girare.

L’edificio è rimasto in funzione fino al 1953, poi un periodo di abbandono che è stato interrotto nel 1991 dall’acquisto da parte del Comune. L’amministrazione ha provveduto a restaurarlo e a farne un museo di molinatura, in cui è possibile visitare l’impianto con la macina, oltre ai vari piani dell’abitazione delle famiglie dei mugnai che si sono succedute nel tempo.

Il luogo ha ispirato artisti ed è diventato anche sede espositiva. Inoltre, compare nel film Mogliamante (1977) con Mastroianni e Antonelli.

Nella zona si produce il vino Marzemino, noto come Refrontolo Passito DOCG.

Il viaggio prosegue tra le distese di vitigni fino all’arrivo di Valdobbiadene.

Adriana Maria Soldini

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