I borghi del Giro d'ItaliaL'Italia dei borghi

I borghi del Giro d’Italia 2021 – Tappa 15

Grado – Gorizia
146 km

 

La tappa 15 è quasi una classica per gli strappi in programma e che, dopo due settimane di corsa e complice il forte vento, mette alla prova i ciclisti.

Ma non bisogna dimenticare che sono i luoghi che hanno dato i natali al ragazzo che ora abita nel cuore di tutti gli italiani, Giulio Regeni, a cui si deve dare giustizia. Noi, con la sua famiglia e la sua terra, urliamo da anni per chiedere la verità che mai riuscirà a seppellire il governo criminale d’Egitto, malgrado le beffe, i depistaggi, gli inganni, l’ostruzionismo, per proteggere mandanti e assassini.

È anche la tappa dell’incursione in Slovenia e di quella fetta d’Italia in prima linea nella Grande Guerra. E ora sulla sottile linea tra Gorizia italiana e Nova Gorica slovena, un tempo divise da un muro e ora unite, sono state proclamate a dicembre Capitale europea della Cultura per il 2025.

Sventola da Grado la bandiera che segna la partenza di giornata, ma noi ci fermiamo alla cifra degli 8.8 km di distanza, che coricati formano un doppio simbolo dell’infinito. E infinita sembra la storia del borgo che qui si trova, Aquileia, dallo straordinario passato.

Attraversato dal fiume di risorgiva Natissa l’abitato si sviluppa intorno alla basilica patriarcale per un raggio di un chilometro circa, e comprende i resti dell’antica città romana. Il territorio in origine paludoso è stato bonificato dopo massicci interventi.

Aquileia fu porto nel Mediterraneo e la porta del Mediterraneo per circa sette secoli.  Fu fondata nel 181 a.C. dai magistrati Publio Cornelio Scipione Nasica, Gaio Flaminio e Lucio Manlio Acidino Fulviano, in un territorio occupato da insediamenti di età protostorica. L’istituzione come colonia fu decisa dal Senato di Roma nel quadro della politica espansionistica, e da avamposto militare si affiancò presto il ruolo di grosso emporio commerciale, divenendo la nona città dell’Impero per importanza. Il porto di Natissa collegava i mercati d’Oriente e quelli transalpini, e nel IV secolo con rotte fisse per Alessandria, Ravenna, per l’Egitto e la Siria, e oltre. La città era anche collegata con l’Italia e i paesi d’Oltralpe da grosse strade: con Genova dalla via Postumia, con Trieste e l’Istria dalla via Gemina, mentre l’Annia permetteva di raggiungere Padova e Adria. Nella Tavola Peutingeriana (fine IV sec. d.C.) Aquileia è rappresentata nel secolo del suo maggior splendore come una città ben difesa da torri e mura possenti, ben collegata e in prossimità dell’Adriatico. Dopo la fine dell’Impero Romano d’Occidente Aquileia divenne sede patriarcale e mantenne una grande rilevanza politica; il ruolo di centro religioso la rese principale centro per la diffusione del Cristianesimo nell’Europa del nord e dell’est.

Nel medioevo, dal punto di vista giurisdizionale, Aquileia era divisa in tre zone giurisidizionali: a nord, soggetta alla Badessa del Monastero Benedettino; a ovest, sotto l’autorità il Podestà  nella sede comunale; a est, chiamata Pala Crucis o Pala de Crôs, dominata dalla figura del Patriarca. Tutte e tre le borgate avevano una chiesa parrocchiale, ma alla fine del secolo XVIII con l’editto dell’imperatore austriaco Giuseppe II dovette sceglierne una sola, che è quella attuale.

Dal 1998 Aquileia è entrata a far parte del patrimonio UNESCO, in particolare per due peculiarità. La prima è perché la sua area archeologica è una tra le più importanti d’Italia.

Restano visibili del suo glorioso passato: foro, porto fluviale, mercati di età tardoantica, mura, sepolcreto, e alcune domus che presentano lacerti musivi considerevoli. Altri resti sono inglobati all’interno di strutture museali per proteggerne i preziosi mosaici: il Museo Paleocristiano, la cripta degli scavi nella Basilica, la Südhalle del battistero, l’area Domus e il Palazzo episcopale.

Imperdibile è anche il Museo Archeologico Nazionale, il cui primo nucleo storico si deve al collezionista e studioso di antichità aquileiesi Giandomenico Bertoli, che raccolse numerosi reperti e gli dedicò tre volumi dal titolo Le Antichità d’Aquileja profane e sacre (1739). L’ultimo rinnovamento del percorso espositivo è stato inaugurato nel 2018 con reperti da collezioni pubbliche e private recuperati nei secoli di scavi e rinvenimenti. La seconda si riferisce proprio alla bellezza dei mosaici pavimentali di età romana e paleocristiana, tra cui il più noto e prezioso è quello datato IV secolo nella basilica,  che fanno di Aquileia la capitale del mosaico romano d’Occidente.

La basilica di S. Maria Assunta è il monumento più rilevante ed è il risultato di diversi rifacimenti e ampliamenti nel corso dei secoli. Il suo gioiello più prezioso è il mosaico pavimentale policromo, che ricopriva le due grandi aule di culto costruite nei primi anni del IV secolo. facente parte della prima chiesa di Teodoro.

Fu scoperto a cavallo della prima guerra mondiale, quando prima gli austriaci e poi l’esercito italiano rimossero il lastricato in pietre rosee e bianche che ricopriva gli strati più antichi. Con i suoi 750 m2 il mosaico dell’aula meridionale, corrispondente all’attuale basilica, è il più vasto del mondo occidentale cristiano, e circa un terzo della sua superficie è dedicata alla storia di Giona con ricchezza e minuzia di dettagli.

Pochi anni dopo la loro messa in opera questi pavimenti furono interrati per l’edificazione di una basilica più grande e suddivisa in due aule parallele, un fonte battesimale a ovest e un edificio abitativo a nord. Questo complesso paleocristiano, unico nel suo genere all’epoca, divenne la matrice di numerosi complessi detti «basiliche doppie».

L’aula nord corrisponde all’attuale cripta degli scavi e conserva mosaici, di cui quelli più antichi nei  pressi delle fondamenta del campanile, innestatovi nel 1031, hanno colori brillanti e sono di elevato valore artistico. Raffigurano animali fantastici, piante e altri soggetti per lo più estranei alla tradizione cristiana. Pare che vadano a inquadrarsi in ambienti culturali gnostici, presenti in particolare ad Alessandria d’Egitto. Lo studioso Renato Iacuminli li considera in particolare l’illustrazione iconografica dei libri I e IV del codice Pistis Sophia. Nello specifico consolida l’ipotesi che gli animali mitici della terza campata possano rappresentare i cinque cieli planetari la lettura del capitolo 136 del codice.

La cripta degli affreschi risale all’epoca Massenziana (IX sec.) ed è nota per essere decorata da affreschi del XII secolo con le scene della passio del protovescovo aquileiese Ermacora e del suo diacono Fortunato. Scene che sono riproposte negli affreschi attorno all’abside (XIV sec.) e nelle pitture sul dorso degli stalli dei canonici del Capitolo aquileiese (XV sec.).

Da aprile e settembre è consentito l’accesso al campanile, alto oltre 70 m, da cui si può ammirare una veduta dall’abitato fino al mare.

Il complesso basilicale comprende battistero e aula sud. Il battistero ha subito molti rimaneggiamenti dalla sua edificazione avvenuta tra la fine del IV e l’inizio del V secolo. Al suo interno, il fonte battesimale permetteva i battesimi per immersione, come era in uso all’epoca.

Oggi, l’aula sud del battistero, chiamata Südhalle, è inglobata in una struttura museale realizzata appositamente. Si possono ammirare il mosaico pavimentale e il prezioso mosaico del pavone, in origine sull’abside del nartece, il lungo passaggio che collegava il battistero alla basilica.

Il patrimonio archeologico di Aquileia oggi visibile è una minima parte di quello ancora da portare alla luce. Le diverse zone visitabili si riferiscono alle indagini  dal 1930 a oggi.

Il foro (II-III secolo d.C.)  è il primo monumento romano che s’incontra, arrivando ad Aquileia, e allora si poneva all’incrocio fracardo e decumano massimo. A oggi si può vedere il porticato di levante (75 m), metà di quello meridionale, una parte del lastricato della piazza, e parte della basilica civile.

II porto sul Natissa fu un porto fluviale di notevole importanza e quello che vediamo risale alla metà del I sec. d.C., nell’impero di Claudio.

Le due banchine sul lato ovest sono in pietra d’Istria (la più resistente all’azione corrosiva delle acque) ed erano lunghe circa 300 m, mentre la banchina a est è stata rinterrata dopo gli scavi. Le due servivano alternativamente in caso di alta e bassa marea. Tre stradine collegavano il porto al centro dell’abitato.

Le  domus del fondo COSSAR sono abitazioni patrizie che presentavano pavimenti musivi di gran pregio, ora al museo archeologico, come il fiocco allacciato a tralci di vite e byronia (I sec. a.C.), l’asaroton da triclinio (pavimento non spazzato) con raffigurazioni di resti di cibo, sempre del I secolo a.C., che testimoniano l’offerta nei banchetti di pane, vino, verdura, carne, pesce, frutta esotica.

Altri mosaici da mettere in evidenza sono il pannello con la Nereide sul toro marino e la testina femminile, di cui  è stata collocata una copia in situ. Vi sono poi tappeti policromi a grosso tassellato (tipico del III sec. d.C.) con ritratti di atleti, provenienti dalla sala delle terme (scavate e rinterrate), frequentate dagli atleti.

Lungo la via XXIV Maggio di Aquileia, è situato il sepolcreto formato da cinque recinti, appartenenti a diverse famiglie. Sono delimitati da muretti in laterizio sormontati da una copertura semicilindrica per proteggerli dalle intemperie.

All’angolo con la via Giulia Augusta si trova il Grande Mausoleo di 17 m d’altezza. Il dado che racchiude la cella funeraria della famiglia è sormontato da un’edicola con cuspide decorata a squame sopra alla quale c’è la pigna, simbolo dei culti misterici di Dioniso e Cibele.

Nell’elegante edicola è posta la statua acefala di chi commissionò la tomba. Sui plinti agli angoli del recinto troneggiano due leoni di gusto ellenistico.

La frazione di Belvedere, di fronte alla laguna, ospita due tipici esempi di pinete Pineta di Bielvedè e la Pineta di San Marco, dove è ubicata da secoli una chiesetta che ricorda la leggenda aquileiese che narra lo sbarco qui avvenuto dell’apostolo Marco, in viaggio da Alessandria d’Egitto  per evangelizzare la capitale della X regione Venetia et Histria.

Lasciamo Aquileia e riprendiamo il tragitto ufficiale per addentrarci nella provincia di Gorizia, dove ci attende il secondo borgo di giornata, Sagrado, tra le prime pendici del Carso.

Il borgo sorge ai piedi del Monte San Michele ed è posto sulla riva sinistra dell’Isonzo, su cui è ancorata la Rosta, visibile da qualunque direzione si arrivi. Il progetto è nato nel 1873 per volere del Consorzio delle Acque del Monfalconese e su concessione dell’ispettore distrettuale Eduard Markus.

Nel 1894 si diede inizio ai lavori sulla presa d’acqua per poi inaugurarlo nel 1905. Sicuramente nel XVI doveva esserci qualcosa di simile, ma in altri materiali, perché il suo ruolo è di estrema importanza per il territorio circostante.

Non solo serve il paese, ma dà acqua a tutto il monfalconese tramite il canale Dottori. Si compone di presa d’acqua, sghiaiatore, traversa di sbarramento che obbliga l’acqua a rallentare in modo da tenere un livello costante, nonostante le variazioni di portata dell’Isonzo.

Invece, l’origine di Sagrado risale all’età del bronzo, all’epoca dei castellieri. La sua posizione strategica, dovuta alla presenza di un guado, lo rese terra di conquista romana e longobarda. La prima attestazione si ha in un documento del 1177, dove sono citate le ville di Sagrado, Peteano e Sdraussina come donazioni al Patriarca d’Aquileia, a differenza del Monte San Michele e di altre località del Carso che rimasero sotto la contea di Gorizia. Un cippo testimonia un confine assiduamente conteso tra la contea e il patriarcato e, in seguito, tra la Repubblica di Venezia e l’Impero asburgico.

A cavallo tra il XIX e il XX secolo Sagrado conobbe un periodo fiorente ed era considerata tra le più belle località di  villeggiatura lungo la linea ferroviaria Trieste-Gorizia. A questo contribuì il castello Alimonda, che venne costruito nell’anno 1885 dai fratelli Francesco e Nino de Alimonda di Trieste, forse su progetto di Isidoro Piani, un ingegnere anch’egli originario di Trieste. L’edificio fu inaugurato nel giugno del 1888, come casa di cure. Era dotata di tecnologie di elettroterapia avanzate per l’epoca, e personalità in vista venivano da lontano per farsi curare.

Sebbene il numero massimo di pazienti da ospitare fosse solo otto, il turismo indotto era abbastanza da incidere sull’economia di tutto il paese. Questo fu lo stimolo per l’apertura di nuovi negozi e di un albergo di lusso. Nel 1982, il Comune di Sagrado lo ha acquistato e per quattro anni è stato sede della  scuola elementare. Per lo stile eclettico il castello viene chiamato la «Miramare sull’Isonzo». S’innalza su tre piani, ognuno di circa 300 m2, ed è dotato di una terrazza e di una pertinenza verde affacciate sul fiume. È al centro di un restauro lungo decenni che pare sia in dirittura d’arrivo.

Fra il 1915 e il 1917 il paese fu sanguinoso teatro delle battaglie dell’Isonzo, di cui restano numerose testimonianze sparse sul territorio.

Dal 1922 il Monte San Michele (275 m.) è diventato un museo all’aperto. Sul piazzale sono posti numerosi cippi, e dalle sue quattro cime si vedono i luoghi della Prima Guerra Mondiale. Altre testimonianze sono presenti lungo il sentiero delle cime, tra cui alcune trincee in parte ripristinate e un ricovero austriaco in caverna (Schönburgtunnel). Fruibile in alcuni punti del percorso tramite una app mobile dedicata alla zona sacra la realtà aumentata consente di avere maggiori informazioni sui monumenti, i percorsi di visita, le gallerie di Cima 3 e le linee trincerate.

L’area monumentale ospita proprio sul piazzale il piccolo Museo della Grande Guerra del Monte San Michele, che custodisce vari cimeli tra cui proiettili, canne di fucile, maschere anti-gas ed effetti personali.

Un’attenta documentazione fotografica narra la storia della Prima Guerra Mondiale, come l’attacco con il gas del 29 giugno 1916, il paesaggio carsico durante il conflitto, la vita dei soldati in trincea. Dal 29 giugno 2018 il museo è stato rinnovato e offre anche strumenti e contenuti multimediali interattivi in italiano e inglese, che ne amplificano l’esperienza sensoriale. Attraversando il piazzale si raggiunge la terrazza panoramica con una veduta suggestiva sulla vallata dell’Isonzo e su Gorizia.

Di battaglia in battaglia si passa all’abitato di San Martino del Carso che è andato quasi completamente distrutto per poi essere ricostruito negli anni venti ad una quota più bassa. D’altronde non può sparire sotto un bombardamento un luogo che ha una storia così lontana nel tempo.

Ci sono attestazioni dell’Età del Ferro e di Età Romana, ma la fondazione vera e propria risale alla fine del XV secolo da coloni veneti. Poco sopra l’abitato si trovano  i resti dell’antica chiesa del XVI secolo. Il territorio della piccola frazione è stato uno dei luoghi dove ha combattuto Giuseppe Ungaretti e che lo hanno ispirato per la raccolta Il porto sepolto, pubblicata nel 1916.

In località Castelnuovo, in una villa circondata da vigneti, è stato istituito un parco a suo nome. Il Parco Ungaretti, di proprietà dell’Associazione Amici di Castelnuovo di Sagrado, è stato restaurato dall’architetto Paolo Bornello, e si pone l’obiettivo di mettere in evidenza la relazione tra paesaggio carsico, Grande Guerra e Giuseppe Ungaretti.

Si suddivide in tre aree principali. A ridosso dell’antico muro di contenimento del giardino la Torre si compone di un elemento portante in tronchi di legno grezzo alto 10 m che sorregge una struttura cubica in acciaio cor-ten (acciaio patinato) con due lati in vetro, su cui sono incise le poesie di Ungaretti.

Il Recinto Sacro è una collinetta con 10 blocchi di pietra carsica che racchiudono una stele in acciaio cor-ten arrugginito. Anche le pietre e la stele riportano incise le sue poesie. Il Sacrario ospita un labirinto di pali in legno grezzo alti 6,10 m poggianti su una griglia di 6×6 m che inducono il visitatore all’attraversamento senza una direzione precisa.

Al centro una lastra in ottone porta incisa l’immagine di Ungaretti in età matura di Franco Dugo che è sorretta da due pali con altre poesie incise.

Lasciamo l’atmosfera struggente e poetica di Sagrado per proseguire sull’itineraio che è un alternarsi continuo in territorio sloveno fino al traguardo nel capoluogo, Gorizia.

 

Adriana Maria Soldini

 

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