I borghi del Giro d’Italia 2021 – Tappa 14
Cittadella – Monte Zoncolan
204 km
Finalmente le salite vere arrivano con la tappa 14. I primi 130 km graziano i velocisti, poi il terreno inizia ad alzarsi e a torcersi in un susseguirsi di tornanti. Ci sono 3 GPM, ma è il terzo posto all’arrivo che conduce al cospetto di una montagna monumento, temuta da tutti quelli che gareggiano nel ciclismo. La salita si 14 km si divide in due parti: la prima, con pendenze intorno al 7-8%; la seconda, di soli 3 km, vede una media dl 13%. All’ultimo chilometro l’asticella sale al 18% per poi impennarsi nell’ultimo tratto a oltre il 25% con punte del 27%. Conquistarne la cima è un’impresa eroica.
La partenza è trionfale. Posta in provincia di Padova, Cittadella risulta essere l’unica città murata in Europa ad avere un camminamento di ronda medievale, ellittico, e interamente percorribile.
Ma c’è una fermata obbligata dopo circa 25 km per il passaggio a livello in funzione, dopodiché non ci si ferma più fino a quasi 20 km dall’arrivo, transitando per la provincia di Treviso, passando il confine con il Friuli Venezia Giulia, entrando e uscendo dalla provincia di Pordenone per immetterci in quella di Udine,
Qui, al chilometro 182.7 troviamo Zuglio, nella media valle del Bût, lungo la riva destra del torrente.
Il borgo della Carnia è posto nell’area centrale dell’antico Canale di SanTappa 14, Pietro, dal nome della pieve che sovrasta l’area circostante.
Fu la romana Iulium Carnicum, identificata nel XV secolo e citata da fonti antiche, la cui fondazione risalirebbe all’epoca del proconsolato di Giulio Cesare (58-49 a.C.); si elevò a Municipium e la cittadinanza venne iscritta alla Tribus Claudia. Per la sua posizione strategica ebbe il ruolo di controllo del passo di Monte Croce e della valle di Incaroio, con particolare riguardo alla via consolare che da Aquileia collegava l’Impero Romano con Aguntum, centro del Norico meridionale, e con tutta la zona Nord dell’Europa.
In località Formeaso nacque il 7 aprile 1682 il pittore Nicola Grassi, la cui arte si colloca nel Settecento veneziano. Alcune sue opere sono qui presenti nella chiesa e anche nelle chiese delle frazioni Sezza e Fielis, immerse tra i boschi.
A oggi Zuglio costituisce il centro archeologico più importante della Carnia.
I primi scavi regolari iniziarono all’alba del 1800 nell’area archeologica del Foro romano, punto d’incontro della comunità, in quanto centro politico, religioso e commerciale. È l’unica zona archeologica visibile ed è localizzata nella zona pianeggiante tra il torrente But e il rilievo collinare opposto a ovest.
Le campagne di scavo tra il 1937 e il 1938 hanno permesso di avere informazioni sull’abitato con la scoperta di numerosi edifici pubblici e sacri, come una basilica, un tempio e un porticato. In anni più recenti l’attenzione si è focalizzata su un’abitazione privata di carattere rilevante vicina al Foro.
Nella prima fase di età augustea il Foro era orientato verso nordovest/sudest e aveva la forma di una piazza rettangolare con il tempio a nord, la basilica civile a chiudere il lato sud, il porticato a est. Nella seconda fase, entro il II secolo d.C., la basilica fu demolita e se ne costruì una nuova su due piani, si ampliò lo spazio della piazza in direzione meridionale, si ricostruì il tempio e si eressero portici sopraelevati. In epoca tardoantica il complesso cominciò ad andare in rovina.
Il sito archeologico mostra al visitatore la basilica civile della prima età imperiale, la base del portico coperto con colonnato a capitelli tuscanici, un settore della platea lastricata con alcune basi di statue, il podio del tempio, il criptoportico (vano seminterrato) della basilica con scalone di accesso al primo piano.
Nel periodo tra il IV e l’VIII secolo fu sede episcopale per volere del vescovo aquileiese Cromazio e le campagne di scavo hanno permesso di accedere ai resti di un grande edificio che potrebbe essere stato quello della curia. E poi una parte del complesso termale, un edificio templare, numerose tracce di edifici privati e due basiliche paleocristiane (resti non visibili). Zuglio costituì il motore della diffusione del Cristianesimo in Carnia.
Nella parte meridionale dell’abitato furono erette due basiliche paleocristiane, ma le tracce non sono visibili. I resti di una terza basilica paleocristiana, che si pensa fondata verso la fine del V secolo, sono stati riportati alla luce sotto al piano pavimentale della Pieve Matrice di San Pietro in Carnia.
La pieve conserva la sua torre campanaria massiccia, sormontata da una guglia di stile nordico. In stile gotico sono il portale e il portone in ferro (1449) di Nicolò Jancilli di Tolmezzo. L’edificio attuale risale al 1312 e vi contribuì Ottobono, il patriarca di Aquileia, con Manno Mannini di Firenze, preposito di San Pietro, per la realizzazione di una struttura a navata unica e tre altari.
La parete settentrionale con le finestre romaniche, compresa la bifora, è stata inglobata e frammenti di sculture altomedievali risultano inseriti nella parete, nella facciata e nelle colonne. Altro elemento rimasto è la sacrestia alla destra del presbiterio. La chiesa fu oggetto di rimaneggiamenti considerevoli tra il XV e il XVI secolo, tra cui gli altari che passarono a quattro e l’aggiunta del battistero. Seguirono ristrutturazioni successive dal XVI al XVIII secolo che resero il complesso asimmetrico di grande interesse architettonico.
All’interno conserva opere di pregio, tra cui gli affreschi (1582) di Giulio Urbanis di San Daniele nella sacrestia superiore, il Cristo ligneo (1550) di bottega nordica nell’architrave dell’arco principale, la statua di San Pietro (XV sec.) di un artista tedesco, l’ancona lignea di Sant’Antonio Abate (1550) attribuita a Gian Domenico Dall’Occhio di San Vito al Tagliamento in stile rinascimentale tra due incorniciature barocche, la tela della conversione di San Paolo (XVI-XVII secolo) del Pordenone, il coro (1734) di Antonio Leschiutta da Zuglio. Dietro all’altare ci sono le finestrelle e le sinopie della parete.
All’inizio della salita verso la Pieve si incontra un pianoro dove tutti gli anni all’Ascensione si tiene il Bacio delle Croci, culto antichissimo di probabile origine medievale che costituisce una delle più sentite e spettacolari ricorrenze di religiosità popolare della regione.
Il suggestivo rito vede ogni chiesa delle undici appartenenti in passato alla giurisdizione della pieve, invitare la sua croce astile adornata di nastri multicolori a rendere omaggio alla croce argentea del Trecento di bottega fiorentina della chiesa matrice. Il giorno sacro prosegue con la processione verso la Pieve, dove si celebra la messa alla presenza dell’arcivescovo di Udine, con il parroco di Zuglio e gli altri della Valle del But.
Sotto la pieve si trova la chiesa di Santa Maria in Monte di origine quattrocentesca, più volte interessata da restauri e da rimaneggiamenti del 1715 che è decorata con affreschi di Giulio Urbanis e conserva un trittico ligneo (1537 ca.) della scuola di Giovanni Martini.
Inaugurato nel 1995 a breve distanza dal Foro, il Civico Museo Archeologico Iulium Carnicum ha sede nel secentesco Palazzo Tommasi Leschiutta che raccoglie su tre piani i reperti locali dell’antica Iulium Carnicum e offre la ricostruzione dello stato attuale della ricerca archeologica in Carnia, dalla preistoria al Rinascimento. Una prima esposizione era custodita presso un antiquarium locale già esistente agli inizi dell’Ottocento, quando si fecero i primi scavi scientifici.
Il percorso museale si articola in sette sale disposte su due piani. La sala 1 è dedicata alla preistoria e protostoria, dove si possono ammirare la ricostruzione di una sezione della necropoli di Misincinis di Paularo (VIII-IV sec. a.C.) e le testimonianze dei Veneti antichi e dei Celti. Il primo piano è stato destinato a Foro, terme ed abitazioni private. Si segnalano gli affreschi pompeiani della sala del frigidarium del complesso termale e gli arredi di alcune domus.
L’ultimo piano è infine dedicato alla vita commerciale e religiosa della città romana e vi sono custoditi gli arredi della terza basilica (VI-IX secolo d.C. ), trovati sotto la pieve. Ancora di quest’ultima il museo ospita la mostra permanente La Forza dell’Arte: le cinque sculture lignee ritrovate dell’altare di Domenico da Tolmezzo della Pieve di San Pietro.
In origine erano 14 le preziose opere lignee del grande polittico ligneo commissionato nel 1481 a Domenico Mioni, detto Domenico da Tolmezzo, che vennero rubate nella notte tra il 14 e il 15 novembre 1981 e recuperate nel 2016 dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. Si tratta di cinque dei santi apostoli che decoravano le nicchie del corpo centrale: Andrea, Paolo e Giacomo Maggiore, che affiancavano la figura centrale di San Pietro; Matteo e Tommaso, che alloggiavano nel registro superiore.
Prima di giungere alla Pieve è possibile visitare anche il centro culturale-spirituale “Polse di Côugnes”, il cui nome richiama il luogo di «sosta, riposo» (polse) per gli abitanti di Fielis durante il trasporto dei defunti verso il cimitero della Pieve, e i prâts di Côugnes, dove è situato. È un grande complesso con numerose destinazioni, tra cui una pinacoteca, una biblioteca storica, un centro astronomico, uno ecumenico, e uno di pittura delle icone.
È presente anche l’orto botanico “Giardino dei semplici”, realizzato nel 1996 da appassionati e studiosi a fini didattico-sperimentali comprendente 1000 specie di piante che è possibile osservare da maggio a settembre.
È riservata una buona parte per gli esemplari utilizzati in fitoterapia, suddivisi in base alla parte del corpo umano che ne ottiene benefici, più di cento sono le piante da cucina, ma si trovano anche piante velenose dai colori accesi, e nell’ultima delle terrazze si può osservare una selezione di piante e fiori tipici del paesaggio della Carnia. L’orto si avvale della collaborazione dei corsisti dell’Università della Terze Età di Tolmezzo e Udine. Accanto si trova il Laboratorio Botanico, il centro fitoterapico per studio e trasformazione delle piante.
A soli 2.5 km ci aspetta Arta Terme, a 442 metri di altitudine.
È una nota stazione termale già apprezzata in epoca romana e costituisce il punto di partenza per escursioni fra malghe e rifugi.
Il centro fu parte del dominio del Patriarca di Aquileia, nel 1420 passò sotto la Repubblica di Venezia e in seguito al controllo di Napoleone, del Regno del Lombardo-Veneto fino al Regno d’Italia.
Durante la Grande Guerra non si può dimenticare di menzionare il ruolo fondamentale assunto dalle portatrici carniche, donne di etnia e cultura friulana dai 15 ai 60 anni che operarono lungo il fronte della Carnia, trasportando sulle spalle gerle di 30-40 kg con all’interno rifornimenti e munizioni fino alle prime linee italiane, dove spesso combattevano gli alpini.
Erano munite di un bracciale rosso con stampato il numero del reparto e percorrevano anche più di 1000 m di dislivello, ricevendo per ciascun viaggio il pagamento di una lira e cinquanta centesimi, pari a 3.50 euro. Arta Terme ne ha contate ben 84.
Le terme si approvvigionano dalla fonte Pudia, un’acqua minerale solfato-calcico-magnesiaca-sulfurea a 9 °C, le cui proprietà consentono dalla cura idropinica alla fangoterapia, dalla balneoterapia alle cure inalatorie. Immerso nella natura incontaminata, il Palazzo delle acque ospita anche un centro di estetica e benessere e ha come punto di forza la fisioterapia sia con trattamenti che prevedono l’uso di macchinari, come la tecarterapia.
All’Albergo Ristorante Al Comune Rustico soggiornò Giosuè Carducci.
La frazione di Piano d’Arta, centro di villeggiatura estivo a 560 m di altitudine, è uno scrigno che contiene la chiesa parrocchiale dalla singolare forma ottagonale, la duecentesca chiesetta di San Nicolò degli Alzeri e quella di Santo Spirito a Chiusini con affreschi del XV secolo.
La chiesa di Santo Stefano protomartire fu edificata verso il 1781 dagli architetti tolmezzini Domenico e Angelo Schiavi e poi consacrata nel 1794. Dall’insolita pianta ottagonale conserva all’interno un fonte battesimale (1649) di Giovanni Vincenzo Comuzzo ed è decorata da affreschi di epoche diverse.
Il ciclo dell’Antico e del Nuovo Testamento (1785) del sacerdote Giovanni Battista Tosolini, che frequentò l’Accademia di Venezia. Il Vecchio Testamento è rappresentato da episodi relativi a Giobbe, Davide, Golia, Tobia e l’arcangelo, Giuditta e Olofèrne, Giacobbe e Rachele; il Nuovo Testamento raffigura la Resurrezione, l’Incoronazione di Maria e Santo Stefano. Altri affreschi datano intorno al 1917 e sono Giovanni Moro.
L’altare maggiore (1777) è opera di Giuseppe Mattiussi e le statue che lo adornano datano dieci anni dopo e furono realizzate da Giovanni Contiero. Datano sempre 1787 i semplici altari laterali di Giacomo Pischiutti, mentre spicca l’elegante altare della Beata Vergine del Rosario, proveniente dal soppresso convento di Santa Chiara di Gemona.
La chiesa di San Nicolò degli Alzeri (XIII sec.), detta la «chiesetta dei Templari» venne costruita con probabilità dai monaci Gerosolimitani vicino al loro cenobio per i pellegrini diretti in Terra Santa. È un edificio ad aula privata dell’intonaco sulle murature esterne dalla riedificazione e presenta un portico a capanna con arco acuto dal bardellone in mattoni, un portale in pietra tra due finestre rettangolari e sull’apice la monofora campanaria, con copertura in travi lignee a vista e manto in coppi di laterizio.
All’interno il soffitto è a capriate con arcarecci e tavolato a vista, mentre la pavimentazione è in mattonelle di cotto rettangolari a spina di pesce. A sinistra c’è un altare in sottosquadro e il presbiterio, sopraelevato di due gradini, esibisce un arcosanto a sesto leggermente acuto.
In località Chiusini s’incontra la chiesa di Santo Spirito, citata per la prima volta nel 1327.
Restaurata dopo il terremoto è a capanna con portale in pietra modanata ad arco ogivale e una finestra rettangolare a destra, provvista sull’angolo nord di una piccola torre campanaria dotata di cuspide a scandole . Mostra un portico antistante: a sud chiuso da una parete con porta ad arco ogivale; a nord, un muretto basso.
È intonacata tranne che sulle pietre angolari in facciata. L’interno è diviso in due dalla duplice volta a crociera e ha la pavimentazione in mattonelle di cotto rettangolari disposte trasversalmente. La zona dell’altare ha soffitto e parete di fondo interamente affrescati.
Ma a Piano d’Arta troviamo anche l’Esposizione Permanente del Fossile, nata per volontà del paleontologo Enrico Campibelli, che ha donato al comune la sua collezione con ammonoidi e gasteropodi, inquadrati nel Triassico Medio e provenenti dal vicino gruppo del Cucco-Tersadia. Ci sono anche trilobiti, ammoniti e molti reperti di provenienza estera.
Una tradizione antica si perpetua ad Arta Terme all’inizio dell’anno Nuovo e viene chiamata Stele di Nadal.
Il rito prevede che i Re Magi vadano in processione di casa in casa ad annunciare la nascita di Gesù Bambino, portando in mano una stella di legno multicolore adornata da fiocchi di carta colorata e con al centro una piccola cavità per il lume ad olio.
A monte della conca di Paularo il torrente Chiarsò, un tempo utilizzato per il trasporto a valle del legname, scorre lungo una gola profonda chiamata Forra de Las Callas con pareti calcaree alte quasi 200 m, erose dall’azione fluviale. È visibile da un sentiero scavato nella roccia soprastante, quando negli anni Cinquanta si intendeva realizzare una diga.
Il sentiero de Las Callas è per escursionisti esperti, poiché alcuni tratti risultano scoscesi ed esposti. Vicino alla forra c’è un esemplare monumentale di abete bianco, detto La Palma, con il tronco suddiviso in sei fusti secondari che raggiungono i 35 m d’altezza.
E ora facciamoci forza se vogliamo guadagnarci la corona d’alloro.
C’è il Monte Zoncolan da scalare fino alla cima.
Adriana Maria Soldini
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