I borghi del Giro d'ItaliaL'Italia dei borghi

I borghi del Giro d’Italia 2021 – Tappa 16

Sacile – Cortina d’Ampezzo
153 km

La numero 16, quella che doveva essere la «tappa regina», è stata declassata almeno a principessa. Altro caso inspiegabile di cambio percorso che dopo, come al solito,  sembra non essere stato voluto da nessuno. Di certo le condizioni non erano quelle previste dalle rigide regole del Giro.

Doveva essere una tappa memorabile di una difficoltà estrema che garantiva un grande spettacolo, con 212 km, 5.700 m di dislivello, le due salite fuori categoria di passo Fedaia e passo Pordoi. Invece, il tragitto è stato ridotto a 153 km, le salite durissime eliminate con un dislivello sceso a 3.600 m, e la nomina di Cima Coppi (la vetta più alta del Giro) del passo Pordoi (2.239 m) passata a passo Giau (2.233 m).

La partenza è a Sacile, in provincia di Pordenone, e subito si entra in provincia di Treviso, dove si trova la nostra prima fermata a Fregona.

Il borgo occupa un’area collinare e in buona parte è disposto sull’altopiano del Cansiglio, dove la vetta più alta del comune è il Millifret (1.581 m). Per le sue caratteristiche di zona soleggiata, protetta dalle montagne e ricca di risorse, si attestano frequentazioni sin dall’Età del Ferro, poi sotto al dominio dei Romani, mentre la prima menzione di Fragona è nella bolla di Papa Lucio III Quoties a nobis petitur del 18 ottobre 1182.

Il toponimo deriva con ogni probabilità dall’antroponimo germanico Fridrich «Federico», poi Frigo e l’accrescitivo Frigón. E potrebbe anche collegarsi alla presenza di un’area sacra a Frigg, importante divinità germanica della fertilità, nei secoli dell’invasione gotica e longobarda, che sarebbe alla base della famosa leggenda di Santa Augusta, nata nel castello di Piai di Fregona, secondo la quale sarebbe stata figlia di un re pagano di nome Madruch.

Situato in cima al colle omonimo e ai piedi del monte Pizzoc il castello di Piai è stato preceduto da una stazione di controllo romana lungo le valli dei torrenti Carron e Friga. In realtà tutta l’area archeologica del Piai (circa 20.000 m2 ca) comprende, ancor prima, un castelliere paleoveneto. Il fortilizio medievale ebbe il suo periodo di maggior splendore sotto la signoria dei da Camino tra il XIII e il XV secolo. Il suo abbattimento forse è in relazione alla guerra con i Carraresi nel 1383, di cui si trovano le ultime citazioni, oppure con l’invasione degli Ungari dal 1411 in poi che distrussero la maggior parte delle fortezze nei dintorni.

Spicca nell’abitato lo splendido campanile della chiesa Arcipretale di Santa Maria Assunta con una storia tormentata di costruzione interrotta più volte, senza contare i danni subiti dai terremoti del 1936 e del 1976. Unico nel suo genere fu costruito in blocchi di pietra viva estratta dalle cave locali fra gli anni 1881 e 1903. La struttura venne realizzata su disegno dello scultore e progettista Francesco Ciprian di Osigo, che si diceva l’avesse ideata quando si trovava in Austria, ispirandosi alla Chiesa Votiva di Vienna.

È caratterizzata da una mirabile cella campanaria con guglie e gli «acquaroi» con teste di draghi e di leoni scolpite dallo stesso Ciprian. Su iniziativa dell’arciprete don Antonio Dalla Rosa s’iniziò il reperimento dei materiali per la prima fase costruttiva nell’inverno 1869-1870 e, il 21 Dicembre 1881, ci fu la posa della prima pietra delle fondazioni, quando il cancelliere del vescovo Cavriani scese nel pozzo per collocarvi, dove zampillava dell’acqua limpidissima, la pietra benedetta contenente una pergamena e monete in corso. Il 6 Aprile 1885 il segretario benedì una seconda pietra posta sopra le fondamenta e cominciò la seconda fase dei lavori che si interruppe nel 1891 per l’improvvisa partenza dell’arciprete don Andrea Tomé, che tanto si era speso a favore dell’opera. E la morte a 57 anni di  Candido Azzalini, presidente dell’ultima commissione istituita, tolse all’impresa il suo sostenitore più infaticabile.

Tuttora al campanile manca la cuspide che nel progetto raggiunge i 12 m dalla base delle otto guglie, che terminano con il caratteristico fiorone a simboleggiare le otto beatitudini del Vangelo secondo San Matteo. E anche le sue campane ebbero una realizzazione avventurosa. Il 4 Giugno 1918, le tre grandi campane (due fuse nel 1907) furono depredate dagli Austriaci che le fecero precipitare dalla cima, e poi manomisero l’orologio di allora con i numeri romani. Il 23 Marzo 1920, arrivarono dalla ditta De Poli di Vittorio Veneto le nuove campane su carri trainati da buoi, tra l’emozione di tutta la comunità. Ma non finì qui, perché la più grande del peso di 2.220 Kg. si ruppe  l’8 febbraio 1927 si ruppe.

Il 29 Ottobre 1927 altre tre campane giunsero da Bassano e per quella meta partirono le vecchie, ma dopo solo pochi mesi alle due minori si spaccarono i manici per tenerle sospese ai ceppi. L’8 Giugno 1928, le nuove campane vennero consacrate dal vescovo Beccegato. Nel 1950 la campana grande (♪ Sib3) venne rifusa e dedicata a Santa Maria Assunta, nel 1994 fu il turno della media (♪ Do4) dedicata a San Martino, mentre resta indenne la piccola (♪ Re4).

Non si conosce la data della costruzione della prima chiesa dedicata all’Assunta nel centro del paese, si sa che la chiesa Arcipretale di Santa Maria Assunta nel 1474 venne riedificata e consacrata il 1° settembre 1475 dal Vescovo Nicolò Trevisan. Nel 1797 iniziò l’erezione della chiesa attuale terminata nel 1820, e consacrata il 22 ottobre 1833 dal Vescovo Bernardo A. Squarcina.

All’interno custodisce il pregevole dipinto Crocifisso e le Anime del Purgatorio (1704) di Sebastiano Ricci e due tele della bottega del Tiziano, Madonna con bambino fra i Santi Tiziano e Biagio di Cesare Vecellio e San Giovanni Battista con Santa Lucia e Santa Caterina d’Alessandria (1575) di Orazio Vecellio. Inoltre, sono presenti sculture del maestro del Canova, Giuseppe Bernardi Torretti. Di grande pregio è l’organo (1873) di Zuane da Limana che è posto sopra la cantoria.  Sul soffitto della chiesa si estende un grande affresco (1826) del veneziano G. C. Bevilacqua

Invece, è stata portata nella chiesa parrocchiale di San Giorgio martire a Osigo la magnifica Pala di San Giorgio (1529) di Francesco da Milano.

La chiesa si trova in posizione panoramica con elegante facciata in stile neoclassico, il cui timpano è sostenuto da quattro semicolonne di ordine ionico. È affiancata dal campanile in pietra e dalla canonica, sul cui lato principale porta dipinta una grande meridiana. La frazione è composta d antiche borgate rurali: Borgo Da Re, Borgo Piazza, Borgo Luca, Borgo Col,Borgo Danese, Borgo Coilsola.

Un altro edificio sacro, la chiesa di San Daniele, domina la pianura sul colle omonimo, e la tradizione vuole che nel periodo natalizio venga posta qui una stella luminosa, visibile nell’area sottostante.

Una località da non perdere è Breda di Fregona, dove si trovano le celebri grotte del Caglieron, un complesso di cavità in parte naturale e in parte artificiale, creata dall’attività estrattiva dell’arenaria, forse in essere prima del 1500,  la tipica piera dolza («pietra tenera») per la costruzione di stipiti, architravi delle case locali, dei palazzi di Vittorio Veneto e dintorni.

Di origine naturale è la forra del torrente Caglieron su strati alternati di conglomerato calcareo, di arenarie e di marne del Miocene medio (16-10 milioni di anni fa), con numerose cascate dalle grandi marmitte alla base.

Nella parte più profonda della forra, appaiono grandi concrezioni calcaree sulle pareti e sulla destra si apre l’ampia grotta dei Breda con colonne inclinate a sostegno degli strati sovrastanti. Sulla sinistra, poco più in là, una passerella in legno porta a grotta di San Lucio, dove avviene l’affinamento del formaggio del caseificio Soligo.

Nelle zone più illuminate è notevole la presenza di travertino, mentre le parti più profonde delle grotte sono occupate da microambienti di notevole interesse botanico e zoologico. In inverno nel parco si formano spettacolari stalattiti di ghiaccio e resta un punto di riferimento per laboratori di educazione ambientale.

Dalla sommità del Monte Pizzòc (1.525 m), nella propaggine occidentale del massiccio del Cansiglio-Cavallo, è possibile godere di un panorama vastissimo dai Colli Euganei al golfo di Trieste e a Istria. L’oronimo Pizzòc deriva da pits con il suffisso diminutivo -òc che significa «piccola punta».

La sua cima, detta «Piazza della Pace» è la piazza più alta d’Europa e porta le tracce lasciate dalla cava di carbonato di calcio, oltre ai piloni della teleferica per il trasporto del materiale al cementificio di Vittorio Veneto. In faccia alla pianura vi si staglia il rifugio Città di Vittorio Veneto, un tempo detto Baracón perché vi alloggiavano le maestranze della cava, che è posto in posizione dominante verso la pianura.

Durante la Seconda Guerra Mondiale il monte fu sede del comando della Brigata partigiana “Fratelli Cairoli”, mentre in Guerra Fredda qui si trovava una base radar della Nato collegata a quella missilistica del Pian-Cansiglio. Tra la flora presente sono di particolare rilevanza le Sassifraghe come la Sassifraga di Host, di Burser, delle Dolomiti, ma ci sono anche la genziana, il giglio di Carniola, il senecione mezzano, la stella alpina. Inoltre, il Pizzòc è ritenuto, con il Cansiglio, uno dei principali corridoi aviari del nordest, ed è attiva da anni un’importante stazione di inanellamento degli uccelli di passo con un centinaio di specie a stagione. Tra gli uccelli vi abitano il falco pecchiaiolo, il nibbio bruno e reale, il falco pellegrino, il raro gallo cedrone, e si può assistere alla danza nuziale del fagiano di monte.

Ci sono diversi prodotti tipici di pregio, tra cui vini e formaggi. Il Torchiato di Fregona DOCG è un vino passito della denominazione Colli di Conegliano che è prodotto con tre tipologie di vitigni: Glera, Verdiso e Boschera. Si abbina alla pasticceria secca e ai formaggi erborinati.

La Grappa di Torchiato è ottenuta dalle vinacce del Torchiato di Fregona DOCG e dona note morbide e rotonde. Il formaggio di Grotta è la specialità della latteria Soligo ed è prodotto con latte del Cansiglio e delle Prealpi Trevigiane. Viene fatto stagionare per un minimo di 60 giorni nella Grotta del Formaggio o di San Lucio nel Parco Grotte del Caglieron, e può essere degustato con il Torchiato di Fregona DOCG.

Subito dopo ci aspetta La Crosetta, la salita piuttosto impegnativa del primo GPM di categoria 1 e con una pendenza media di oltre il 7% e una punta all’11%. Entriamo in provincia di Belluno e ci spingiamo fino alla prima galleria, dopo la quale c’è il  traguardo volante di Agordo.

Capoluogo del valle solcata dal torrente Cordevole l’abitato è adagiato in una conca tra i monti della Catena del San Sebastiano, l’Agnèr, la Moiazza, il monte Celo, le Pale di San Lucano, i Monti del Sole. Due di questi monti rientrano nel suo territorio, Moiazza e Framont.

Il territorio sarebbe stato frequentato in antico da Veneti e Norici, e ritrovamenti archeologici certificherebbero che sia stato abitato da una popolazione autoctona romanizzata. Agordo è citato la prima volta in un diploma del 923, dove si menzionano le decime che l’imperatore Berengario, spinto dalla moglie Anna, avrebbe ceduto ad Aimone, vescovo di Belluno.

Un testamento del 1143 rivela la già perfetta organizzazione della parrocchia di Agordo, elevata in seguito ad Arcidiaconato. Nel 1430 e nel 1635  Agordo venne completamente distrutta da incendi, mentre nel 1848 si distinse con molto onore  per azioni patriottiche durante il Risorgimento. Nello specifico con la sua coraggiosa insurrezione contro l’Austria, cacciando il personale civile asburgico e organizzando una guardia civica di volontari. Per le sue gesta il 4 agosto 1906 divenne la XX città decorata con la Medaglia d’Oro.

Nel passato Agordo diede i natali a uomini illustri, come il pittore Domenico Zanchi, il primo storico del diritto italiano Antonio Pertile (1830-1895), l’ingegnere ferroviario e senatore Roberto Paganini (1849-1912). Nel Seicento uno studioso agordino acquisì fama internazionale; era Tito Livio Burattini, matematico, scienziato e cartografo italiano. Durante la sua permanenza in Egitto dal 1637 al 1641 fece il disegnatore e il cartografo, riproducendo  i principali monumenti di Alessandria d’Egitto, Menphi ed Eliopoli. L’anno seguente si stabilì in Polonia, dove a Cracovia ebbe contatti con l’allievo di Galileo Girolamo Pinocci, che gli diede spunti per lo studio di una misura e un peso universali. Realizzò la prima calcolatrice meccanica italiana; il Museo di storia della scienza di Firenze custodirebbe una calcolatrice a lui attribuita.

La regina di Polonia Maria Luigia Gonzaga gli affidò incarichi diplomatici per l’Europa e, in seguito, si sposò con una nobile e ricca polacca, prendendo la cittadinanza. Fu precursore del sistema metrico-decimale, in quanto nel 1675 coniò il termine «metro» che è citato nella sua opera Misura Universale: «Dunque li pendoli saranno la base dell’opera mia, e da quelli cavarò prima il mio Metro Cattolico, cioè misura universale, che così mi pare di nominarla in lingua Greca, e poi da questa cavarò un Peso Cattolico».

Secondo alcune notizie attribuite a Plinio il Vecchio, le ricchezze minerarie di Agordo sarebbero state scoperte e sfruttate già in età romana. Nella sua Historia del 1607 il Piloni ne fa cenno, narrando le vicende bellunesi del 1160. Lo sfruttamento della galena argentifera terminò dopo i crolli e le inondazioni del 1567, e la coltivazione del grande ammasso di pirite cuprifera per l’estrazione del rame, iniziata verso metà del XV sec., è proseguita fin ai nostri giorni. Nel 1815 Vallimperina venne considerata una delle principali miniere d’Europa e sarà l’8 settembre 1962 la data in cui verrà posto fine a questa attività durata secoli.

Ancora resta la rinomata Scuola Mineraria di Agordo fondata nel 1867 da Quintino Sella, ora Istituto Tecnico Industriale “Umberto Follador”. Costituisce una delle quattro sedi scolastiche esistenti in Italia con Massa Marittima, Iglesias e Caltanissetta, e i periti minerari qui formati sono tecnici noti  in tutto il mondo. Nel 1962 all’indirizzo minerario è stato aggiunto quello chimico.

Altra istituzione che ne conserva la memoria è il Museo Mineralogico e Paleontologico, uno spazio espositivo che si trova all’interno del complesso dell‘ex macello comunale di Agordo. L’esposizione contiene una ricca collezione di minerali e reperti archeologici dell’Agordino ed è curata da periti minerari e volontari delle associazioni.

Il centro del Comune è piazza della Libertà che gira attorno a El Broi, uno dei simboli di Agordo. È un grande prato donato da un privato ai bimbi qui residenti, ed era in origine parte del giardino di accesso alla storica Villa Crotta de’ Manzoni, la villa veneta più settentrionale nell’antico territorio della Serenissima Repubblica di Venezia e uno dei pochi esempi nelle Dolomiti Patrimonio UNESCO, che ha la particolarità di essere sia palazzo sia villa di campagna. Fonti ne attestano l’esistenza già nel 1365, come divisa in due complessi, appartenenti alle famiglie Pietriboni e Paragatta.

Nel Cinquecento Francesco Crotta acquistò dalla Repubblica i titoli di amministrazione della miniera e fuse i due edifici preesistenti in una villa lussuosa completa di stalle, con l’aggiunta di migliorie negli anni seguenti, che prese il nome di «Villa Crotta». La gestione dei Crotta portò le miniere di Val Imperina all’apice della produzione, con la capacità di fornire alla Serenissima circa il 50% della domanda annuale di rame dello Stato veneto, divenendo così uno dei poli estrattivi più importanti d’Europa. Ed è in quel periodo che la villa crebbe di misura. Nel Settecento venne attorniata dalla cancellata con quindici statue a tema classico, opera degli scalpellini di Cencenighe Agordino Vincenzo Mazzarol e Simon De Biasi.

Inoltre, la si provvede di corte interna con la caratteristica fontana. Nel 1813 l’amministratore dei beni della famiglia Crotta ormai in declino, Giuseppe Manzoni di Ceneda, acquistò da loro la villa e i titoli nobiliari, diventando nel 1820 «de’ Manzoni». Con il figlio Antonio ne volle aumentare il prestigio e incrementò le opere artistiche e architettoniche, tra cui la Toreséla («Torresella»), un padiglione posto al limite del giardino su progetto dell’architetto G. Segusin, e che oggi è molto amata dalla popolazione. In seguito la prioprietà venne divisa di nuovo a metà. La parte che si affaccia sulla piazza è restata agli eredi della famiglia de’ Manzoni, mentre la parte delle ex scuderie è stata acquistata dal Cavalier Del Vecchio, fondatore di Luxottica.

Oggi, ospita il Museo Collezione Ottiche e Occhiali-Raccolta Rathschüler-Luxottica, una delle più importanti collezioni a livello mondiale, inaugurata nel 1991 per festeggiare il 30° anniversario di attività. Il progetto iniziò nel 1980 con la ricerca nei mercatini e nelle botteghe antiquarie e proseguì con l’acquisto di importanti collezioni private, a partire da quella di Fritz Rathschuler. Sono in esposizione duemila pezzi di ogni epoca e tecnologia e si articola in sezioni: lenti, occhiali, monocoli, cannocchiali, telescopi, microscopi, strumenti ottici, astucci, stampe e libri. Si possono trovare occhiali in fanone di balena (XVI sec.), occhiali da parrucca del XVIII secolo, e dello stesso secolo un esemplare unico: una cassetta-imballo con sei paia di occhiali ad arco con nome e indirizzo del fabbricante di Norimberga.

E poi occhiali con stanghette tempiali, fassamani in oro e argento, occhiali orientali con il ponte traforato con ideogrammi, e tra  i  primi occhiali da sole come il tipo detto «Goldoni» del Settecento veneziano, fino ad arrivare ai prodotti di ultima generazione. Per l’osservazione astronomica sono presenti cannocchiali di Francesco Fontana, Pietro Beltrami, e l’esemplare lungo 8 m a sezione ottagonale (1682) di Giuseppe Campani.

Nella piazza si trovano anche la fontana con il Leone di San Marco, eleganti edifici antichi, il municipio con nell’atrio opere di Augusto Murer e Gastone Valente Badoer , una delle prime sezioni del CAI (1868).  Con due campanili la chiesa arcidiaconale di Santa Maria Nascente, già esistente nel XII secolo, riedificata nel 1513, e ristrutturata nell’Ottocento dal Segusini, conserva preziose opere d’arte di Palma il Giovane, Grigoletti, P. Bordone, Zanchi, Casagrande, Besarèl, Brustolon, un organo del Cipriani, e anche quattro formelle in cotto di Adriano Avanzolini, a ricordo della visita nel 1978 di Albino Luciani (cappellano ad Agordo  tra il 1936 il 1937), due mesi prima di diventare Papa.

Dal 2010 Agordo è paese del Graffito da un’idea dell’artista Dunio Piccolin per valorizzare la tecnica antica e creare per Pasquetta un evento culturale per la storica sagra di San Vincenzo Ferreri, patrono dei fanciulli. Ogni anno vengono realizzate due o più opere sulle abitazioni delle frazioni di Parech, Prompicai e Toccol.

Una prima opera è fatta in collaborazione con gli allievi della quinta della Scuola Primaria di Agordo, coordinati dall’ideatore, e una seconda o terza con un artista esperto di graffito.

Ci sono da affrontare ancora 60 km con altre gallerie, un altro traguardo volante e la Cima Coppi, prima di arrivare al traguardo fissato nella città olimpica 2026, Cortina d’Ampezzo.

Adriana Maria Soldini

 

Previous post

I borghi del Giro d'Italia 2021 - Tappa 15

Next post

I borghi del Giro d'Italia 2021 - Tappa 17

No Comment

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *