I borghi del Giro d'ItaliaL'Italia dei borghi

I borghi del Giro d’Italia 2021 – Tappa 13

Ravenna – Verona
198 km

I velocisti non stanno più nella pelle. La tappa 13 sembra tirata come una sfoglia lungo la Pianura Padana al cospetto del Po. Non si vede neanche l’ombra di un GPM, anzi fa il record del minor dislivello di tutto il Giro, 200 m. È una classica tappa di trasferimento in attesa delle grandi salite di montagna.

Si parte da Ravenna dove Dante riposa, si esce dall’Emilia Romagna per varcare il Grande Fiume ed entrare in territorio Veneto, in provincia di Rovigo, per poi spingersi fino al confine opposto, raggiungendo Bergantino.

Centro dell’Alto Polesine è situato nelle immediate vicinanze dell’argine sinistro del Po, in parallelo all’ansa più accentuata. È la romana Bragantium, possesso dell’abbazia di Nonantola e in parte ceduta al monastero di San Salvatore di Pavia nel sec. XI. Il territorio ebbe il ruolo di avamposto sud-orientale della Gallia transpadana e venne poi conquistato da Roma nel II secolo a.C.

In merito al suo toponimo sono state fatte diverse ipotesi. Nella sua Naturalis Historia Plinio il Vecchio scrive che gli ostigliesi scendevano il fiume su piccole barche dove erano inserite delle arnie, da cui le api uscivano all’alba per rientrare al tramonto. E usa il vocabolo brigantinum da tradursi in «piccola nave». Altra ipotesi più recente tira in ballo i Celti, a seguito della scoperta in località Mariconda delle tracce di un insediamento gallico, e viene fatto riferimento alla tribù celtica dei Brigantii, provenienti dal lago di Costanza, sulle cui rive sorge Bregenz, l’antica Brigantium. La teoria meno accreditata fa risalire il nome all’espressione greca brakous antro («palude fiorita»).

La prima menzione del centro è in un documento del 1030, con cui l’abate Rodolfo cedeva a un altro abate, Pietro di San Silvestro di Pavia, e ad Adelasia, moglie di Alberto de Bojaria, vigne, boschi e paludi, in una località ostigliese chiamata Brachantinum. Invece fu l’abate di Nonantola Rodolfo a far erigere il Castro Brigantino, il castello che nel 1482 venne definitivamente distrutto dai veneziani durante la Guerra del Sale. Alla fine del XVIII secolo finì sotto il dominio francese e poco dopo sotto quello austriaco, seguendo poi le sorti del resto del Veneto.

L’Ottocento fu un secolo molto difficile per Bergantino. Con il Congresso di Vienna (1815) il paese passò dal ferrarese a far parte della provincia del Polesine.

Seguì un periodo di miseria che vide il proliferare degli attacchi dei briganti. La notte colpivano con una pertica le finestre dei casolari (da qui il detto «battere la pergolina») e minacciavano di morte gli occupanti per farsi dare i loro averi. Questo avvenne fino al 1851, quando i colpevoli dell’ultima rapina furono giustiziati, come riporta il registro dello stato civile di Este. Ma nel 1855 si diffuse la peggiore epidemia di colera che il borgo avesse conosciuto e anche dopo l’Unità d’Italia le cose non andarono meglio, così dal 1881 al 1907 1412 residenti emigrarono in Brasile.

A Bergantino nacque il 15 Luglio 1852 il musicista e compositore Stefano Gobatti che vent’anni dopo si diplomò al Conservatorio di Napoli. Dopo soli quattro mesi musicò I Goti, opera su libretto di Stefano Interdonato, e alla prima di Bologna nel 1873 riscosse un enorme successo. Sostenuto dalla Bologna intellettuale venne nominato «cittadino onorario di Bologna», come Verdi e Wagner. Rappresentò l’opera anche alla presenza del re Vittorio Emanuele II che gli consegnò l’onorificenza di «Cavaliere della Corona d’Italia».

Il patrimonio storico ed artistico della cittadina è presente in via Vittorio Emanuele e in piazza Matteotti.

La chiesa parrocchiale di San Giorgio martire è preceduta da un ampio sagrato con orientamento est-ovest. Le prime testimonianze scritte datano 1300 nelle Rationes decimarum («Elenco delle decime»).

L’ultima ricostruzione ebbe inizio il 24 novembre 1673, quando don Alberto Ferrari benedisse la pietra angolare. Durante il restauro del tetto si è rinvenuta una mattonella in laterizio (13 x 40 x 3 cm) che riporta la data del 27 aprile 1686 e ne attesta l’avvenuta copertura. Ed è solo il 2 dicembre 1700 che si tenne la prima messa. Negli anni tra il 1725 e il 1732 Vincenzo Santini, che ne progettò la facciata, fece costruire un massiccio campanile su basamento a tronco di piramide con cella campanaria dotata di bifore sui quattro lati e in cima un cupolino a cipolla. In precedenza le campane erano collocate sul tetto della chiesa.

La facciata è a salienti, scandita da lesene doriche su alti basamenti e binate, e sormontata da un frontone triangolare con cornice modanata. In basso, al centro, si apre il portale festivo a tutto sesto, con lunetta in pietra che raffigura in bassorilievo San Giorgio e il drago, e in alto domina un rosone circolare. Nei fronti delle navate minori si aprono i portali feriali, con stipiti a lesene doriche, dotati di frontoni triangolari e finestre rettangolari con cornice in pietra. Il tetto è a falde con manto in coppi.

All’interno mostra una pianta basilicale e una struttura a tre navate con pavimenti in marmo rosso e bianco, composto da lastre quadrate a scacchiera diagonale. È dotata di sei altari, allestiti nel corso del Settecento a completamento del corredo liturgico, tra cui l’altare maggiore (XVIII sec.) è una produzione di ambito polesano costituito da marmi vari, così come lo è l’altare della Madonna del Rosario (1780-95), ma di ambito veneto e con l’aggiunta di stucchi.

Nell’abside altre decorazioni in stucco incorniciano una nicchia che custodisce una statua di San Giorgio (XVIII sec.) in legno dipinto.

Sugli altari di destra sono degne di nota tre opere: Pala della Sacra Famiglia (1688-99) e Pala della Madonna del Carmelo (1693-96 ca.), entrambe olio su tela di Giuseppe Maria Crespi;  Pala di Cristo Redentore con croce tra San Vincenzo Ferreri e San Pietro Martire (inizio del XVI sec.), un olio su tavola attribuito a Domenico Panetti.

Il palazzo Romei, detto anche «Castello Diani» (XV sec.) si trova sul lato nord della piazza ed è stato costruito sulle macerie del castello.

L’edificio si sviluppa attorno ad una torretta centrale, eretta nel XVI secolo dal conte Giovanni Romei, con l’aggiunta di due corpi laterali e alcuni rustici. Nel 1841 il nuovo proprietario Carlo Diani ne eliminò il ponte levatoio e otturò la fossa attorno al palazzo. Dalla tipologia molto rara in pianura, nel 2012, ha subito seri danni del terremoto dell’Emilia che hanno reso necessaria una nuova ristrutturazione.

Dal lato opposto, a sud, si affaccia palazzo Strozzi che mostra un elegante portale affiancato da un basso porticato. La sua origine risale a un casino di caccia del XVII secolo che in seguito è stato sottoposto ad ampliamenti e rifacimenti.

Il fabbricato ospita l’originale Museo della Giostra e dello Spettacolo Popolare dedicato agli spettacoli itineranti, unico in Italia. Inaugurato nel 1999 per volontà del Comune e della Provincia di Rovigo è nato come centro di ricerca e documentazione dello spettacolo popolare, raccoglie i documenti e le testimonianze dalle origini legate alle fiere antiche di paese per passare ai parchi dei divertimenti, e ai moderni luna park.

Per quanto possa sembrare una scelta singolare la sua istituzione fonda nella storia economica del paese. Verso la fine degli anni Venti del secolo scorso alcune famiglie decisero di  intraprendere una nuova attività a causa della crisi del settore agricolo, e si trasformarono in esercenti dello spettacolo viaggiante. Contemporaneamente sorsero dei laboratori artigianali per la produzione di piccole attrazioni in legno, spesso aperti dagli stessi spettacolisti.

Nel tempo l’attività di produzione relativa ad attrezzature per i luna park, le cosiddette «fabbriche dei sogni» come  i giornalisti definiscono le industrie polesane, è divenuta la principale del paese e sul cartello stradale all’entrata dell’abitato si legge Bergantino Centro della Giostra. Si è creato un vero distretto industriale per un prodotto d’eccellenza che è venduto ai parchi di tutto il mondo.

Il millenario viaggio nel tempo è ripartito in tre periodi storici: Fiera-mercato medievale e rinascimentale, Parco divertimenti dell’Ottocento con gli spettacoli itineranti (il Teatro delle maschere, il Teatro dei burattini e delle marionette, il Circo equestre, le prime giostre ottocentesche mosse a mano), Luna Park odierno con le sue attrazioni imponenti e ipertecnologico. Quindi, la visita si snoda tra la sala della Fiera mercantile, la sala del Parco divertimenti, la sala del Luna Park  e la sala del Labirinto con alcune curiosità.

Nell’ex sede del magazzino idraulico del Magistero delle acque si trova il Museo della Civiltà Contadina che si struttura in una mostra fotografica sulla vita contadina e sulla natura del territorio. Una sezione è dedicata all’apicultura, attività fondamentale per una zona dove le risorse scarseggiano.

La Golena di Bergantino è l’area di territorio golenale semi-naturale più estesa sulla sponda sinistra del Po in territorio altopolesano, ed è contenuta all’interno del Sito di Importanza Comunitaria (SIC) IT3270017 “Delta del Po: tratto terminale e delta veneto” e costituisce la Zona di Protezione Speciale (ZPS) IT3270022 “Golena di Bergantino”.
Nell’angolo dell’ansa della concessione di pertinenza del Comune è stata istituita la Riserva di interesse locale “Golena di Bergantino” di circa 23,5 ha e su 41 ha si è riconosciuta un’oasi di protezione provinciale.

Si tratta di due zone collegate fra loro da una sterrata, ed è un bosco golenale igrofilo abitato da un’alta biodiversità faunistica, tra cui la rana agile (Rana dalmatina) in pericolo d’estinzione a causa dell’uomo che ne ha ridotto l’habitat.

Lasciamo il Veneto ed entriamo in Lombardia per incontrare subito Ostiglia.

Il borgo si trova in un’area paludosa e lungo la riva sinistra del fiume Po nel Basso Mantovano, a un passo dal Veneto, in un territorio in cui i primi segni di frequentazione risalgono al mesolitico.

Nel periodo romano fu un porto sul fiume e punto d’inizio della Via Claudia Augusta, collegamento con il Danubio. Inoltre, qui nacque Cornelio Nepote, come ci informano Tacito e Plinio il Vecchio. Seguono Goti, Longobardi, Franchi di Carlo Magno e verso il Mille è contesa da Verona, Mantova e Ferrara. Ci sono prove del passaggio della Grancontessa Matilde di Canossa e del padre Bonifacio.

Come attesta la forma latina Hostilia il toponimo deriva dal nome personale latino Hostilius con un suffisso.

Data 1151 la costruzione del castello da parte di Ermanno, marchese di Verona, e rimase attivo fino agli inizi del XVIII secolo. Restano tre torri: la Campanaria, dell’Orologio e delle Prigioni, che è di proprietà privata. Nella parete esterna del camminamento di ronda si intravedono merli ghibellini.

Il Museo delle Torri ha sede nelle prime due torri e nel camminamento, e conserva materiali dal Medioevo al XIX secolo, come: ceramiche (XIII-XIX sec. d.C.), vetri, reperti in pietra tra cui un frammento di cornicione con stemma dei Gonzaga (XVII sec.), un bassorilievo funerario con epigrafe, frammenti di epigrafi del XVII-XVIII sec., una balestra pallottaia del XVI secolo.

È in mostra un plastico ricostruttivo del castello nel XVI secolo ed è disponibile alla consultazione un monitor interattivo per approfondimenti e ricostruzioni grafiche. Lungo le scale d’accesso è visibile un lacerto di affresco, che raffigura la Sacra Famiglia (XVI-XVII sec.).

In piazza Cornelio, dove si trova il monumento a Cornelio Nepote, si affaccia palazzo Foglia, costruito nel 1833 in linee neoclassiche, dove hanno sede il Museo Archeologico, la Biblioteca comunale e la Biblioteca musicale Giuseppe Greggiati.

Il Museo Archeologico è gestito dal Gruppo Archeologico Ostigliese, e si articola in tre sale con reperti dall’Età del Bronzo all’Età Romana; un quarto ambiente è destinato a sala didattica e a esposizioni. Nella prima sala si trovano i materiali della civiltà terramaricolo-palafitticola dell’Età del Bronzo, rappresentanti le diverse tipologie delle principali industrie dell’epoca (XVI-XIII sec. a.C.), e in una teca sono esposte reperti di selce, di cui alcune neolitiche.

Nella seconda ci sono ceramiche dell’Età del Bronzo e reperti provenienti dalla necropoli della Vallona (XIII sec. a.C.), scavata nella metà degli anni Ottanta. La terza sala contiene oggetti dell’Età del Ferro (etruschi e paleoveneti) e di Epoca Romana, con ceramica fine da mensa, esempi di pavimentazione, monete, bolli su laterizio, anfore, balsamari.

Un terzo museo è ospitato nel settecentesco Palazzo Cavriani-Bonazzi, commissionato da Giuseppe Maria Bonazzi all’architetto Bolanni, con facciata in pietra a vista e frontone triangolare; è rimasto incompiuto poiché privo dell’ala sinistra. Inaugurato nel 2008 il Museo della Farmacopea contiene la collezione del farmacista Losa che raccoglie in due sale e in un corridoio di collegamento forme apotecarie in legno (25 pezzi), 136 vasi da farmacia, oltre 200 fra vetri e strumenti, e una parte di documentazione. Nella prima sala, detta «degli orcioli» sono in mostra i vasi della categoria con becco a cannone, pertinenti a manifatture venete dal XVI al XVIII secolo, tra cui la pregiata Mainardi di Bassano, oltre a esemplari faentini e liguri.

Nella sala «degli albarelli» sono esposti numerosi albarelli a rocchetto in relazione agli orcioli della tipologia in monocromo azzurro della prima sala, ma sono presenti anche altri tipi di orcioli del XVIII-XIX secolo, cinque pillolieri con coperchio, una serie di vasetti da farmacia di fine XIX e inizi XX secolo.
Nel corridoio, in tre vetrine, c‘è una serie rara di 25 scatole da farmacia in legno curvato, attrezzi da farmacia e contenitori per sostanze farmaceutiche in vetro soffiato o stampato.
Un quarto ambiente è in uso come sala convegni.

In paese è presente l’edificio dove Arnoldo Mondadori aprì la prima tipografia. In stile liberty la Palazzina Mondadori è ora sede di progetti educativi legati alle arti, come la Scuola di Musica, incontri di poesia, di cinema, e di iniziative culturali quali incontri e mostre.

Qui, si trova anche la biblioteca privata di Arnoldo Mondadori, conservata per decenni nel suo studio milanese, che è andata a costituire il Fondo “Arnoldo Mondadori” .

Il fondo è stato nel tempo implementato e comprende quasi mille volumi (molti riportano la dedica), tra cui alcune rarità sul mercato antiquario. È presente anche la sezione Dannunziana con edizioni di opere e raccolte del poeta. Si contano oltre duecentocinquanta dediche e circa trenta fra firme e note di vario genere.

Un altro personaggio legato a Ostiglia è Mario Monicelli per il padre scrittore, Tomaso, che qui era nato. Il Teatro Nuovo in stile neoclassico costruito nel 1839 è stato intitolato al regista nel 2011.

A livello naturalistico il territorio di Ostiglia fa parte del Parco Golenale lungo Po,  un Parco Locale di Interesse Sovracomunale (PLIS), riconosciuto nel 2005.
La Riserva Naturale e Foresta Regionale Isola Boschina copre una superficie di 39 ha all’interno dei confini geografici dell’omonima isola nell’alveo del Po che è stata classificata come Sito di Importanza Comunitaria nel 2004 e come Zona di Protezione Speciale nel 2005, inserendosi tra i Siti della Regione Biogeografica “Continentale”.

Altra area protetta è la Riserva naturale regionale e oasi LIPU “Palude di Ostiglia”, che si sviluppa su  120 ha, dei quali oltre 40 sono ambienti palustri e boschi. Nel 1984 è stata riconosciuta Zona Umida di Importanza Internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar, e anche Zona di Protezione Speciale per l’Avifauna. La riserva fa parte della rete Natura 2000 dell’Unione Europea, e dal 2008 è compresa nel Sistema Parchi dell’Oltrepò Mantovano.

Ha la particolarità di avere al suo interno una palude pensile, ciò che resta di una zona umida antica formatasi dalla deviazione delle acque del fiume Busatello. Si contano 175 specie di uccelli, di cui 60 nidificanti, e 226 specie vegetali.

Tra le altre presenze animali, sono caratteristiche: la rana di Lataste, il tritone crestato e la lucertola vivipara. La flora, dominata dalla cannuccia palustre e dai carici, regala spettacolari fioriture di ibisco di palude, calta palustre, campanella maggiore, morso di rana, nannufero e ninfea bianca.

Per la salvaguardia della tradizione comunale si segnala, in località Comuna Santuario, la presenza del Museo aziendale del Melone, all’interno della proprietà della Società Agricola Longhi. Si tratta della coltivazione di varietà di meloni rari e non più in commercio per la salvaguardia e il recupero delle sementi antiche.

E finiamo ancora una volta in dolcezza con un prodotto tipico: la torta Ostiglia, a base di zabaione e mandorle, variante locale della mantovana torta Elvezia.

Con la bocca che sa di dolce e lo zabaione che ci dà energia ora abbiamo tutto il tracciato lombardo da fare. Rientriamo in Veneto per una manciata di chilometri ed essere accolti al traguardo dalla dolcezza dell’amore che offre Verona, la città di Giulietta e Romeo.

Adriana Maria Soldini

 

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