I borghi del Giro d'ItaliaL'Italia dei borghi

I borghi del Giro d’Italia – Tappa 17

Bassano del Grappa – Madonna di Campiglio
203 km

Si ritorna in Veneto e si parte da Bassano del Grappa, in provincia di Vicenza, per una tappa quasi sempre in salita.

La diciassettesima del Giro è un’altra lunga tappa che ha ben 3 GPM di prima categoria e uno di terza.

Noi ce la facciamo quasi tutta, ci trasferiamo in Trentino Alto Adige, fino a quasi una ventina di chilometri dall’arrivo, dove troviamo Caderzone Terme, in provincia di Trento, un altro paesino con molte cose da raccontare.

Affacciato sulle due rive del fiume Sarca questo borgo alpino, che ha meno di 700 abitanti, è chiamato «cuore verde della val Rendena», di cui è uno degli insediamenti più antichi, con malghe, masi, laghetti alpini incastonati in una natura rigogliosa e montagne spettacolari. Il territorio comunale intriso di storia e leggende è immerso nel Parco Naturale Adamello Brenta, il più esteso del Trentino, ed è dominato, da una parte, dalle Dolomiti di Brenta e, dall’altra, dai ghiacciai dell’Adamello.

Dal 2006, con un referendum popolare, al nome Caderzone si è aggiunto «Terme», perché il paese è riuscito nell’intento di sfruttare le acque termali per usi terapeutici e turistici. In realtà. sono conosciute da tempo le proprietà benefiche dell’acqua della sorgente Fonte S. Antonio che sgorga sopra il paese. È una fonte oligometallica di tipo ferruginoso con oligoelementi di grande rilievo quali litio e selenio, che rende possibile la cura idropinica, delle vie respiratorie, delle vasculopatie periferiche. Per esempio, tra i documenti parrocchiali e comunali, uno testimonia come nel 1635 il Principe Vescovo di Trento, Carlo Emanuele Madruzzo, ne facesse uso per curarsi.

Così è nato il Borgo della Salute che riunisce le Terme della Val Rendena, la Fonte S. Antonio, il Centro Benessere collegato all’Albergo Palazzo Lodron Bertelli, e il Museo della Malga nelle ex scuderie.

Il Palazzo Lodron Bertelli è degli inizi del XIV secolo, ed è una delle prime costruzioni del centro storico. Nel 1677, sul lato a valle, don Gian Giacomo Bertelli fece costruire la cappella gentilizia dedicata a Sant’Antonio, con all’interno l’altare di legno dorato.

L’edificio delle ex scuderie di Palazzo Lodron Bertelli, è stato sottoposto a un imponente lavoro di restauro dopo essere stato distrutto da un incendio il 4 novembre 1976, da cui si salvò la parte più rilevante, composta da un pilastro di circa 60 cm di diametro, sopra a una pietra in tonalite, e da un grande trave in castagno che sorregge il solaio ligneo del portico a sud.

Al pian terreno è ora sede del Museo della Malga sul lavoro svolto presso gli alpeggi sparsi sul territorio delle Giudicarie; raccoglie gli antichi strumenti per la lavorazione del latte e dei suoi derivati. All’arrivo dell’estate si soleva spostare le mandrie dal fondovalle fino ai pascoli di alta montagna, che hanno un foraggio di più alta qualità. Le mandrie vi restavano per tutta la stagione estiva e venivano ricoverate in strutture denominate «malghe».

Gli spazi del museo sono costituiti dalla pietra di tonalite delle murature e dai pavimenti ottenuti con la tecnica antica del «battuto e ribattuto» di calce idraulica mista a cemento e sabbia del fiume Sarca. L’esposizione interna è suddivisa in tre sale: la prima è dedicata al pascolo, alla mungitura, al casello; la seconda, alla casara e ai prodotti finiti della trasformazione del latte, la terza, alla presenza dell’uomo e della sua vita in malga. Gli oggetti originali sono stati raccolti presso numerose malghe delle valli Rendena e Giudicarie. Questa singolare istituzione è gestita dall’associazione Museo della Malga.

Altro edificio caratteristico del territorio è il Maso Curio, documentato agli inizi del XIV secolo, è un monumento storico dell’architettura rurale rendenese che ha mantenuto la sua originaria funzione legata all’allevamento del bestiame, ancor oggi praticato come vuole la tradizione. Uno zoccolo in muratura è sormontato da una struttura in legno con porticato rustico retto da imponenti colonne di larice su pietre di granito. Il tetto di scandole è a capanna e i pavimenti di stalle e porticato sono in acciottolato. Al primo piano c’è il tablà con foro nel pavimento «la finera» dove calare il fieno direttamente nella stalla. Nel sottotetto si allarga il plisat per conservare foraggio e grano. L’affresco sacro della facciata orientale, purtroppo compromesso, riporta il 1537 come data della ricostruzione e vi sono raffigurati Sant’Antonio Abate, protettore degli animali, e Santa Barbara, protettrice dagli incendi, qui con il maso che brucia colpito dalla folgore, come avvenne in passato e di cui colonne e travi portano le tracce. A fianco si trova la casina per la conservazione del latte, la casera e due fontanelle.

Caderzone Terme ha ricevuto la Bandiera arancione del Touring Club Italiano, marchio di qualità turistico ambientale.

Sulla nostra strada troviamo subito dopo la località sciistica di Pinzolo sulla sponda orientale del fiume Sarca, a 800 m di altitudine.

Dal patrimonio artistico del territorio emerge la chiesa di San Vigilio, nella campagna di Sorano, a metà strada per Carisolo. È dedicata al giovanissimo vescovo di Trento, che nel 400 fu martirizzato in Val Rendena nel tentativo di evangelizzarla. A pianta rettangolare è a tre navate, con archi e volte a sesto acuto sorrette da colonne in granito.

Non si conosce la data della sua fondazione. Nella pergamena del 28 ottobre 1232, la più antica dell’archivio comunale, si parla di una riunione di capi famiglia di Pinzolo, Carisolo e Baldino sotto il porticato della chiesa. L’arco trionfale primitivo, la torre campanaria e la sacrestia danno indizi certi sulla struttura architettonica originale risalente al decimo secolo, ma nei secoli successivi fu ampliata e sopraelevata. A testimoniare la sua antichità sono anche una serie di dipinti sovrapposti, scoperti a destra dell’abside, quando è stato tolto l’altare di San Giacomo. In ottimo stato c’è una splendida Annunciazione (XIII secolo) di scuola toscano-veneta, sui fianchi dell’arco trionfale primitivo. Il resto degli affreschi è opera degli Averara, pittori itineranti provenienti dalla Val Brembana, come i Baschenis. La maturità artistica del loro caposcuola Simone appare nella decorazione di San Vigilio.

La facciata medioevale, posta a mezzogiorno, è ricoperta da affreschi di epoche diverse ed è ciò che ha contribuito a rendere celebre l’edificio sacro. Risalgono al XIII secolo i dipinti di scuola romanica: frammenti di Santa Caterina con ruota; in basso a sinistra, un San Cristoforo con Bambino, figura tagliata dalla porta attuale; a destra, alcune teste di Santi. Nelle due fasce di mezzo della seconda metà del XV secolo appaiono San Vigilio e una Pietà in due nicchie archiacute.

Sono i due registri di sottogronda a lasciare il visitatore a bocca aperta. Vi si trova rappresentata la celeberrima Danza Macabra e i Sette Peccati Mortali, capolavoro di Simone Baschenis che riporta la data del 31 ottobre 1539. Il tema della «danza macabra» vuole sottolineare che siamo tutti uguali di fronte alla morte.

Io sont la Morte/ che porto corona/ sonte signora/ de ognia persona

inizia il poema della morte che accompagna l’affresco. Introduce il ballo lugubre un concerto di tre scheletri musicanti (il primo seduto su un trono rudimentale) ai piedi di un crocefisso a cui vengono attribuite le parole

O peccator pensa de costei/ la me a morto me che son signor de lei!

A sinistra di Cristo si apre un corteo di diciotto coppie, personaggi appartenenti a tutti gli ordini sociali quali il papa e altri figure ecclesiastiche; figure che rappresentano l’ordine laico come l’imperatore e altri reali, il duce, il medico,il guerriero, il ricco e il povero; figure che ricalcano le età dell’uomo. Tutti sono trascinati nel ballo da morti rappresentati come scheletri. La sfilata si conclude con la Morte a cavallo, armata di arco e frecce. Si tratta di un soggetto di matrice nordica, ma si è diffuso anche in Francia e nella penisola iberica, più inconsueto in Italia. Sotto alla danza, ormai quasi illeggibili, si succedono i peccati mortali, espressi con simboli animali: superbia/leone, avarizia/rospo, lussuria/becco, ira/gatto, invidia/nibbio, accidia/asino. I peccatori sono portati da diavoli a scontare le pene eternali.

La chiesa è anche nota per il suo campanile, che con i suoi 72 m è il più alto del Trentino.

La comunità di Pinzolo ha cura di perpetuare le sue tradizioni folkloristiche che ne costituiscono l’identità, come la proclamazione del Trato Marzo («È arrivato marzo»). Dalle origini antichissime si fonda nei riti agresti per celebrare la fine dell’inverno e il ritorno alla vita della primavera.

Le ultime due sere di febbraio e la prima di marzo, i giovani salgono sull’altura delle Masere, a est del paese, accendono un falò e fanno la proclamazione degli amori, nominando le coppie, usando uno speciale megafono.

Il capogruppo recita: Trato marzo su questa terra, per maritare una giovane, bela, bela («È arrivato marzo per sposare una ragazza bellissima»). Gli altri giovani chiedono: Chi ela o chi no ela? («Chi è e chi non è?»). Allora il capogruppo chiama una nubile del paese con il nome di battesimo e il soprannome di famiglia, poi interviene di nuovo il gruppo: A chi l’ente mai da dare? («Con chi si deve sposare?»). Il capogruppo nomina uno scapolo e aggiunge: Ca l’è da maritare! («Il quale deve ancora sposarsi!»). A sua volta il gruppo conclude in coro: Totala, totala, totala! («Sposala, sposala, sposala!»). Per circa un’ora nubili e celibi di tutte le età vengono accoppiati, mentre si servono vin brulè, polenta e salsicce a tutti quelli che arrivano sull’altura.

Nelle prime due sere si creano coppie improponibili, come la ragazza più bella con un vecchio del paese. Invece, nella terza sera, si svelano le coppie prossime al matrimonio. Il rito diventa l’ufficializzazione del legame davanti alla comunità. A questo punto dall’altura si lanciano ciocche di legno e dal percorso che fanno si traggono auspici sulla felicità dell’unione.

La «costumanza» manifesta il risveglio della voglia di vivere e di amare, così come la natura ritorna alla vita dopo il letargo invernale.

Bastano poco più di una decina di chilometri per arrivare a Madonna di Campiglio, dove finisce la tappa odierna.

Adriana Maria Soldini

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