I borghi del Giro d'ItaliaL'Italia dei borghi

I borghi del Giro d’Italia 2020 – Tappa 3

Enna – Etna (Linguaglossa Piano Provenzana)
150 km

La terza giornata parte dalla città di Enna all’insegna del vulcano.

A 112,3 km dei 150 da percorrere troviamo il comune di Milo, borgo di origine medievale dal fascino ammaliante.

Con i suoi 750 m s.l.m. è uno dei centri più alti dell’Etna, dove fa fresco d’estate e si può permettere la neve in inverno. Gode di una posizione panoramica invidiabile, perché è il paese del versante ionico con la vista più ampia sul mare. Da piazza Belvedere Giovanni D’Aragona lo sguardo arriva a Taormina e alla Calabria verso nord-est, al golfo di Catania e ad Augusta verso sud-ovest. Milo viene chiamato «Taormina dell’Etna» e la sua frazione Fornazzo è stata dichiarata «villaggio ideale d’Italia» dalla rivista Airone.

E poi ci sono la natura fertile del terreno e la sua ben nota acqua minerale che sgorga abbondante. Lo storico cinquecentesco Filoteo degli Omodei di Castiglione scrive nell’Aetnae Tipografia: “C’è un’altra sorgente d’acqua dolce e limpida […] verso sud est, nel bosco; questa sorgente dal colore nero della terra dove scaturisce dal greco ha nome Melan, dagli etnei comunemente è chiamata Milo”. Nella sua opera Sicilia Sacra del 1793 Rocco Pirro parla della “Chiesa e Priorato di S. Andrea dell’Acqua di Milo […] fondato da Giovanni Infante di Aragona”, e lo dice “così chiamato dalla rinomata fonte di acqua che da lì esce”.

L’Abate benedettino Vito Amico nel LexiconTopograficum Siculum (Palermo 1757-1760) scrive che intorno al 1340 fu il fondatore (Author) Giovanni D’Aragona, fratello del re Pietro II e signore di Randazzo, che qui morì nel 1348. Il nobile amava trascorrervi parte della stagione estiva tanto da fare erigere nel 1340 una chiesetta a sant’Andrea Apostolo, oggi chiesa madre del paese. L’attuale impianto a tre navate pare poggi su una riedificazione del XVII-XVIII secolo. Costruita in pietra lavica dell’Etna conserva un crocifisso ligneo policromo, diversi arredi e i simulacri di Sant’Andrea, dell’Immacolata e di San Giuseppe databli al XVII-XVIII secolo.

All’ingresso di piazza Madonna delle Grazie si trova la Fontana della Rinascita, una grande abbeveratoio a lastroni di pietra lavica, su cui è incisa la data 1911, che con la sua acqua freschissima aveva la funzione primaria di dissetare gli animali. I colori arancio e giallo di Giovanni D’Aragona con la croce del patrono Sant’Andrea e l’antico abbeveratoio sono presenti nello stemma del comune.

Ma tutto ciò ha un prezzo, o per meglio dire c’è da guardare anche l’altro lato della medaglia che è brucia del fuoco della lava, più volte insinuatasi tra i suoi casolari antichi, i vigneti e i boschi circostanti. Segnano la vita di questa comunità terremoti ed eruzioni, come quelle spettacolari dagli anni Cinquanta ai Settanta. Nel 1950 fece il giro del mondo la foto di donna Jana (Cavallaro) di Caselle, a braccia aperte davanti alla lava quasi che con la sua fede la volesse fermare da sola, mentre sventolava le immagini dei santi.

Milo ha stregato molti personaggi noti e questi luoghi sono stati anche set cinematografici. L’attore Angelo Musco (per lui Luigi Pirandello scrisse alcune commedie tra cui Liolà e Pensaci, Giacomino!) vi fu ospite negli anni trenta del Novecento e l’attrice Rosina Anselmi, che entrò nella sua compagnia comica, venne a villeggiare in una casa del centro negli anni Cinquanta. Nel 1938 il pittore Roberto Rimini vi dipinse due quadri con vasi di ginestre su un tavolo e lo sfondo aperto della campagna, entrambi intitolati Estate a Milo. Ma l’ospite internazionale più eccentrico fu il barone Wilhelm von Gloeden.

In località Praino aveva casa Lucio Dalla, a cui nel 2013 è stato intitolato l’anfiteatro e posto un monumento che lo rappresenta dello scultore Carmine Susinni. Franco Battiato ha comprato e restaurato la villa della baronessa Flavia Musumeci. Nel suo territorio è presente l’ilice secolare, il più grande e antico leccio di tutto il territorio etneo. Alto 25 metri, diametro delle fronde di circa 30 metri, una circonferenza alla base di 5 metri, con un’età presunta di circa 700 anni è fra i più antichi alberi dell’Etna insieme al Castagno dei cento cavalli e al Castagno della nave.

Per l’Inferno del suo Decameron del 1971 Pier Paolo Pasolini girò qui alcune sequenze sulle lave che fumarono per tanti anni in superficie quando cambiava il tempo e arrivavano le piogge. Nel bosco Nicolosi Mauro Bolognini ambientò diverse scene di Un bellissimo novembre (1969), dal romanzo di Ercole Patti, con Gina Lollobrigida.

Il territorio è parte integrante dell’area vitinicola dell’Etna DOC, denominazione istituita nell’agosto del 1968 per la produzione con vitigni autoctoni di etichette tra cui l’Etna Bianco Superiore è esclusiva del territorio di Milo.

Dopo una decina di chilometri giungiamo al bivio che porta a Vena, frazione del comune di Piedimonte Etneo, posta in posizione panoramica con vista dai Peloritani e da Taormina, fino a Giarre, Riposto e tutto il comprensorio etneo.

Le origini risalirebbero al 597, quando alcuni monaci Basiliani salirono sull’Etna per sfuggire alle persecuzioni, portando un quadro della Madonna dipinta su una tavola di cedro. La leggenda narra della mula che trasportava l’opera d’arte. A un tratto questa sì fermò e iniziò a scavare con gli zoccoli il terreno fino a trovare una “vena” d’acqua. Per i monaci fu un segno divino e fondarono il monastero gregoriano di Vena con il consenso di Papa Gregorio Magno. Il culto della Madonna di Vena ebbe grande diffusione e venne cantato da Teofane Cerameo, scrittore e predicatore.

Tra il mare e la montagna, l’attuale Santuario Mariano di Vena si trova a 735 metri di altitudine, immerso nei boschi di querce e castagni. Luogo di silenzio dedicato della Madonna «Vena di tutte le grazie», impreziosito in piazza da un Rosario monumentale con un “Sacro fonte” d’acqua sempre fresca e zampillante. La costruzione iniziò nel 1905, sviluppandosi attorno alla chiesetta antica che venne rinchiusa e poi demolita nel 1912, quando il nuovo tempio era già agibile anche se in stato rustico. I lavori finirono nel 1930 e l’edificio fu consacrato nel 1931 dal vescovo diocesano del tempo, monsignor Evasio Colli.

All’interno custodisce il dipinto Vergine col Bambino che la tradizione vuole essere l’originale icona bizantina del VI secolo. L’immagine della Vergine di tipo Odigitria è molto venerata a Vena, in provincia di Catania, e nei dintorni.

Il mistero è stato svelato dalle indagini scientifiche. Le indagini dendrologiche effettuate dalla dottoressa Roberta Castorina e dal professor Giuseppe Maugeri dell’Università degli Studi di Catania hanno attestato che la tavola misura 169 x 68 x 4 cm. (all’interno di una cornice larga 9,5 cm., sbalzata in rilievo) è stata tagliata di traverso con una angolatura di 30° da un tronco di castagno proveniente dai vicini boschi del Carpineto. Risulta essere la più grande tavola in legno di castagno dell’Etna esistente al mondo. Le analisi al radio carbonio fatte al LABEC sezione INFN, diretto dal professor Pier Andrea Mandò dell’Università degli Studi di Firenze, e il CE.DA.D. Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione, diretto dal professor Lucio Calcagnile dell’Università del Salento, hanno accertato che l’opera raffigurante la Teothokos Glykophilousa è databile tra il XI e XII secolo.

Nel santuario si conserva anche la reliquia della Madonna del fuoco col volto e i vestiti bruciati che è stata collocata in una cappella apposita. Si riferisce al miracolo del fuoco avvenuto il 6 febbraio 1865 in contrada Giretto, sulla provinciale che va da Linguaglossa a Zafferana.

Una colata lavica imponente, partita da Monte Sertorio minacciava Vena, a meno di un chilometro dal Santuario. La statua della Madonna fu portata in processione verso la lava che avanzava, facendola seguire da un quadro di San Gregorio. “Scendeva sulla terra il crepuscolo serale e i riflessi rossastri di quel fiume immenso e incandescente formavano in quel tratto di cielo, come un lago di sangue”, si legge dalla cronaca di allora.

Il reverendo Cantone, che aveva preceduto i fedeli, salì su un macigno sporgente e come da un pulpito li incitò al pentimento e alla preghiera alla Madonna, tutti tra le lacrime. All’improvviso un forte vento “che a vortici spaventosi striscia sulle lave brucianti sino ad investire il Simulacro della Madonna, arroventandone il viso. Un grido di pietà e di misericordia si innalza spontaneo dalla folla presente!… Trascorsi pochi secondi torna la calma e con la calma la lava, come fermata da una mano onnipotente e invisibile, si arresta sul momento. Il prodigio, grande ed innegabile prodigio, era stato ottenuto: quei buoni fedeli rimasero padroni dei loro piccoli vigneti e delle loro casette”.

Nel febbraio di ogni anno gli abitanti di Vena si recano in preghiera alla cappellina eretta nel 1936 a poca distanza dal luogo in cui si arrestò la lava, lungo la rotabile Milo-Linguaglossa.

Le vetrate istoriate dell’edificio sacro presentano immagini di Maria “Vena di tutte le grazie” (Vena omnium Gratiarum), mentre i mosaici illustrano l’origine storica e il messaggio del santuario con scene bibliche ed evangeliche.

Una curiosità è data dalla presenza presso l’altare di un paio di sandali, le scarpe del Giubileo. Un simbolo dai molteplici significati: il ricordo di Mosè, invitato da Dio a togliersi i calzari su una terra santa; il Giubileo come pellegrinaggio fisico e interiore; il richiamo ai poveri, soprattutto gli esuli e i migranti; il cammino del perdono e della misericordia che caratterizza l’Anno santo straordinario.

Tornando sulla strada, meno di 30 km ci separano dall’arrivo a Piano Provenzana di Linguaglossa a 1793 metri di altitudine sull’Etna.

Adriana Maria Soldini

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